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La nobiltà divisa dal Risorgimento

La nobiltà divisa dal Risorgimento

La vicenda emblematica di una famiglia gentilizia del Sud nel racconto di Aldo De Francesco

Conosco Aldo de Francesco dai tempi del glorioso “Roma” di via Marittima, parlo della metà degli anni Settanta, di un mondo dei giornali, in cui larga parte della giornata si passava tra redazione e tipografia, e, oltre ai rapporti di colleganza, si creavano anche sincere e solide amicizie. Destinate a durare. Abbiamo passato tanti anni insieme al “Roma” poi, nel novembre del 1980, il giornale dovette chiudere, e fu un rompete le righe doloroso e penalizzante per molti di noi: giornalisti, tipografi e personale amministrativo. Dopo più di qualche anno, Aldo de Francesco fu assunto al “Mattino” e chi scrive trovò sbocco prima a “Canale 21”, poi al “Giornale di Napoli”, a “La Città “ e infine al nuovo “Roma”. Nonostante, però, anni critici di “distanziamenti obbligati”, non ci siamo mai persi di vista. Anzi da tempo Aldo è un editorialista molto apprezzato del “Roma”, il giornale che dirigo. Il suo è stato un ritorno alle origini ricco di nobili significati. Ho sempre ammirato di lui la forte passione che mette in ciò che fa, i molteplici interessi culturali - dalla narrativa alla pittura, allo studio delle tradizioni popolari - di cui ha fatto emergere gli aspetti più positivi, molto lontani da quegli stereotipi lamentosi spesso di chiara strumentalizzazione politica. Difatti ogni volta che ne parla e ne scrive tiene sempre a ribadire che la civiltà delle aree interne riflette “lo spirito libero dei popoli italici che non si rassegnarono mai alla potenza e al dominio di Roma anche nelle sconfitte, costruttivo e coraggioso nell’alto e nel basso Medioevo prima contro i barbari e poi contro i poteri di nuove dinastie”. De Francesco, già autore di molti libri, con questa recente opera: “La stanza dei casti amanti-Una storia familiare” (Iuppiter Edizioni) mi ha riportato indietro di tanti anni al febbraio del 1976, quando, il “Roma”, per ricordare degnamente, a un anno dalla scomparsa, il grande giornalista Carlo Nazzaro, che ne era stato direttore, volle far apporre una lapide in suo ricordo sulla facciata della casa di “donna Lorenzina”, la nonna paterna, a Chiusano San Domenico, dove Nazzaro era nato. Quel giorno vide radunarsi nel raccolto borgo irpino il gota del giornalismo napoletano e nel trasferirci, ricordo, dal luogo dell’apposizione della lapide alla sala consiliare del Municipio, non sfuggì a me e ai tanti presenti la monumentale mole del palazzo gentilizio de francesco, costruito nel 1600. Ora Chiusano San Domenico, il paese di Nazzaro, sorvegliato dal cielo di croci del monte Toro, torna alla ribalta per questo palazzo magico e il racconto che ne fa Aldo de Francesco, narrando le vicissitudini di una famiglia gentilizia del Sud, la sua, dei suoi antenati. Al centro, dopo la conquista del regno di Napoli e la successiva unificazione d’Italia, di un’amara “spaccatura” per differenti fedeltà dinastiche. Un ramo familiare continuò a vivere nel mito dei Borbone, l’altro, invece, guardò oltre ai Savoia, con minore nostalgia per il passato. Due modi d’intendere il mondo, che si rifletteranno anche sui modelli di vita: l’uno, chiuso e sospettoso verso ogni nuovo profilo di società; l’altro, aperto e disposto a misurarsi con la realtà. E così “in un intreccio di rituali, feste sacre, credenze e rivelazioni, la storia prende corpo con una galleria di personaggi intimamente legati al telaio delle tradizioni, ora attratti dalla discrezione del silenzio, ora felici di lasciarsi andare alla narrazione dei ricordi e di racconti intriganti”. Tra questi, in particolare, quello che ruota intorno a una stanza dell’antico palazzo misteriosamente chiusa, eppure così presente nell’immaginario dei più piccoli, che fermano le loro corse davanti alla sua porta dei misteri. Che non ha nulla da vedere con il celebre omonimo affresco pompeiano. Un mistero, che pare risolversi giorni dopo il terremoto del 23 novembre 1980 ma sarà così solo in parte. Molto invece c’è da aggiungere su una trama che stimola una serie di riflessioni sul Risorgimento. Il palazzo de Francesco, protagonista di questa storia familiare fu fatto edificare nel Seicento dal capostipite don Bartolomeo de Francesco, che raggiunse il borgo irpino di Chiusano San Domenico dopo un viaggio avventuroso. Il 7 dicembre 2005, con decreto del Ministero dei Beni Culturali, quest’edificio è stato dichiarato di rilevante profilo storicoarchitettonico con relativa apposizione di vincolo. Ora la narrazione che ne fa Aldo de Francesco conferisce a questa storia ulteriori motivi di riflessione sul Risorgimento e su alcuni specifici aspetti sociali.

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