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Così ho tradotto in napoletano il Vangelo e Sant’Anselmo

Così ho tradotto in napoletano il Vangelo e Sant’Anselmo

Testi di Storia, filosofia e teologia alla prova di un traduttore 

In napoletano si può scrivere di tutto; non solo poesie, canzoni e opere teatrali, ma proprio testi di ogni genere letterario. Anche perciò sono convinto che il napoletano sia una vera e propria lingua, adatta a qualsiasi impresa letteraria. E questa è la mia esperienza diretta. Il cardinale Crescenzio Sepe, anni fa, lanciò l’idea di tradurre in napoletano il Vangelo. Molti lasciarono cadere la cosa. Io decisi di provarci. Quello di San Marco mi parve il più adatto per il suo carattere narrativo e per la sua brevità. La mancanza di sviluppi speculativi avrebbe semplificato tutto. Mi proposi soltanto di usare la lingua classica, senza ridurmi a “napoletanizzare” termini dell’italiano. Ne è risultato ’O Vangelo cuntato ’a santu Marco, vutato a llengua nosta. (Controcorrente Edizioni, 2013). Fatto ciò, mi sono chiesto se si potesse osare di più e da allora ho alzato sempre più in alto l’asticella. Ecco così ’O libbro ’e ll’Apocalisse, ancora un testo narrativo, ma pieno di immagini simboliche, dunque più difficile da trattare in un idioma sviluppatosi pur sempre nel contesto della vita ordinaria. E subito dopo ci ho voluto provare con un’opera ascetica medievale, il De contemptu mundi (’O schifo 'e chistu munno) di Papa Innocenzo III, ancora inedita, ma realizzata comunque agevolmente. Più avanti ancora sono arrivato alla pubblicazione di una versione del capolavoro cristologico di Anselmo d’Aosta: Cur Deus homo (Pecché Ddio se facette ommo), finché ho tentato con un saggio apologetico, scritto da me stesso in napoletano, “io e (d)IO”, per replicare alla congerie di eresie contenute nel libro di Vito Mancuso Io e Dio, entrambi realizzati con Amazon. Si tratta di teologia speculativa e siamo su un alto livello di astrazione, eppure, benché con alcune difficoltà per la necessità di usare circonlocuzioni in luogo di termini astratti inesistenti nella nostra lingua, anche questa impresa mi pare riuscita. Tralascio altri lavori già pubblicati o in via di pubblicazione, che confermano quanto detto. Resta da dire che tutti questi testi, tranne quello contro Vito Mancuso, scritto direttamente in napoletano, sono traduzioni effettuate dal latino, proprio a motivo dell'intento di dimostrare la genesi del napoletano dall’antica lingua madre, senza passare per quella che è diventata la nostra lingua nazionale.  

*sacerdote, scrittore  

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