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19 Aprile 2023 - 08:34
È un giorno che non dovrebbe mai arrivare quello del funerale di un amico. E invece quel giorno è oggi. Alle 12 nella chiesa di San Ferdinando si dà l’ultimo saluto a Mauro Giancaspro (nella foto di Gilda Valenza), scomparso troppo presto, a 73 anni per le complicanze successive a un banale intervento chirurgico. Quando ci siamo salutati prima del ricovero, una ventina di giorni fa, nulla lasciava presagire quanto è accaduto. E invece Mauro non c'è più. Era amico mio, Mauro, il mio amico geniale. Ha diretto per vent’anni la Biblioteca Nazionale di Napoli, trasformandola da polveroso contenitore di vecchi volumi in gioiosa casa della cultura. Erano anni, quelli, in cui non si parlava proprio di autonomia dei musei e nessuno immaginava che gli archivi avessero altra funzione che quella conservativa. E invece lui voleva una biblioteca aperta a tutti quelli che amassero la lettura e avessero voglia di parlarne. C’era sempre uno spazio per chi voleva presentare un libro, organizzare un convegno o una rassegna culturale ma perlopiù era lui stesso a farsi promotore delle iniziative più varie: dalle mostre d’arte ai concerti pianistici ai reading di romanzi con annessa degustazione di vini. Precursore anche in questo. Mauro era il lettore geniale che citava con lo stesso rispetto Dante e Bob Dylan e che maneggiava cinquecentine e atlanti storici con la stessa disinvoltura con cui si muoveva tra le sue collezioni di stilografiche e matite. Del resto nel suo libro “Il morbo di Gutenberg” aveva raccontato meravigliosamente questa passione smodata per tutto quanto concernesse il mondo della carta stampata. Una passione che non ha mai smesso di narrare nei suoi numerosi racconti e romanzi. Era l’amico geniale di tutte le persone curiose intellettualmente, quelle che amavano mettersi in gioco con le letture inconsuete, come i romanzi di Anatole France e i suoi simpaticissimi diavoli. Ed era anche un conversatore dall'ironia pungente che si divertiva a dissacrare l'idea di una cultura noiosa e libresca contro la quale si divertiva a organizzare dei veri e propri processi, con la complicità di Michele Serio, un altro amico andato via troppo presto. Era l’amico geniale che amava Napoli e i suoi abitanti ma odiava la napoletanità. Sulla creatività e l’umanità dei napoletani aveva scritto racconti molto belli ambientati nel Vomero della sua infanzia. Ma sugli stereotipi non transigeva ed era capace di intessere seducenti filippiche contro le canzoni napoletane che, a suo dire, inneggiavano troppo al sonno: «Ma vi pare possibile - diceva - che un innamorato non trovi niente di meglio da dire alla sua donna che “Famm’addurmì n’atu ’ppoco abbracciato cu ’tte” e che un fidanzato lasciato si accontenti di sperare “Vieneme 'nzuonno”?». Invece, il mio amico geniale prendeva con serietà tutto quello che concerneva il suo ruolo di direttore della terza biblioteca più grande d’Italia. Soprattutto prendendo a cuore quella che era la sua missione nei confronti del pubblico. Avrebbe voluto tenerla aperta anche la sera, fino a tardi. In proposito citava Bukowsky, che affermava di essere diventato uno scrittore, da barbone qual era, perché le sere invernali, per riscaldarsi, si infilava nella biblioteca di New York. Gli sarebbe piaciuto che la “sua” bilblioteca, avesse avuto questa dimensione di accoglienza di recupero culturale e, perché no, anche sociale. E si arrabbiava molto, passionale com’era, perché non riusciva a spuntarla con i sindacati. E allora faceva quello che poteva. Per esempio non negando mai la Sala Rari a chi ne faceva richiesta. Più volte ha ospitato studenti di ogni tipo di scuola per le manifestazioni più varie. Gli piaceva moltissimo stare con i ragazzi, era capace di parlare con loro, incantandoli con la ricchezza della sua conversazione, capace com’era di infilare tra gli aneddoti sulla sua vita di studente al Liceo Sannazaro, una riflessione sul piacere di sfogliare un libro raro o il manoscritto di “A Silvia”, una poesia che studiata a scuola poteva sembrare noiosa ma che letta in Biblioteca, sull’autografo leopardiano, pareva trasmettere la stessa intensa emozione che aveva mosso Leopardi. Aveva una straordinaria capacità di intessere relazioni, il mio amico geniale. Scambiava due chiacchiere con i tassisti con la stessa naturalezza con cui discuteva del futuro dell'e-book con Umberto Eco e della musica di Scarlatti con Roberto De Simone. Amava il suo lavoro, il mio amico geniale, e lo svolgeva con una competenza e una dedizione che gli erano riconosciute da tutti quelli che avevano avuto modo di farne esperienza. Davvero tanti. Infatti, prima di dirigere la Nazionale, era stato alla biblioteca di Cosenza, poi, negli ultimi anni di direzione napoletana aveva dato una mano a quella di Bari e, dopo lo scandalo dei Gerolamini, si era occupato anche di quella. E soprattutto amava Vittoria, il mio amico. Geniale anche in questo suo vivere il matrimonio nella complicità e nella sintonia profonda ma anche nel rispetto dei tempi e degli spazi di ciascuno. Caro, caro, caro, amico mio geniale, che ingiustizia perderti.
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