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15 Maggio 2023 - 18:41
NAPOLI. Il titolo della mostra di Paolo La Motta all’Aeroporto internazionale di Napoli Il mare bagna Napoli. Sequenze (15 maggio-10 novembre 2023, spazio Art Gate, gate C20 primo piano) rilegge, in chiave inversa, il celebre romanzo di Anna Maria Ortese “Il mare non bagna Napoli”. Eppure, dai vicoli del rione Sanità in cui l’artista (classe 1972) è nato e vive ancora oggi, il mare di Mergellina non si vede, non arriva la sua brezza leggera e lo sguardo dei ragazzi non si posa sulla linea dell’orizzonte, ma sui muri scrostati dai palazzi.
Paolo La Motta, che conosce bene questi ragazzi, li colloca su una barca in movimento su un mare grigio, intenti a remare per raggiungere il proprio personale traguardo. Non è un caso, dunque, se la Barca verticale, un olio su tela del 2022, sia stata scelta come immagine portante di questa mostra in cui l’artista espone dodici opere. Il tema della barca vista dall’alto ritorna anche nella tela Barca diagonale.
Alcuni lavori riflettono la sua ricerca degli ultimi anni mentre un paio di opere sono più lontane nel tempo: Ombra e cane del 2011 e Anfratto del 2017, la Barca orizzontale è del 2019, mentre appartengono al 2020, Bambina seduta, Interno e Interno esterno. In queste ultime – interni quasi metafisici dove s’intravedono, confuse nell’ombra, figure di fanciulli – dominano i rossi vivi. Sono ritagli di un esistenzialismo fortemente iconico, così come le altre composizioni dedicate ai ragazzi sorpresi in un interno o in barca. Sono del 2023 le opere Primo sole, Non lo so fare, Orizzontale.
«Si tratta di una recente sperimentazione in cui Paolo si misura con il grande formato (la base supera sempre il metro di lunghezza) e con una nuova tipologia compositiva. Riutilizza infatti il polittico, già usato in passato, ma ora in un unico assemblaggio senza cesure tra le varie partiture, riunite tutte in una sola composizione, generando alla fine una sequenza (sottotitolo della mostra). Sperimenta, inoltre, il collage che combina con l’olio per sovrapposizione. Anche la tavolozza è cambiata. I colori sono più tenui, e volgono tutti a un monocromo di base. Spicca il grigio, che, con una soluzione tecnica originale, deriva dalla diluizione dell’argilla, materia che Paolo ama particolarmente. Sono superfici astratte che documentano una riflessione più concettuale legata direttamente alla pittura, quasi frammenti analitici della materia pittorica. Le diverse partiture di ciascuna delle composizioni non sono nate per stare insieme, ma trovano nella loro combinazione la propria essenza. Paolo afferma che «l’arte è qualcosa che accade, non si premedita» e l’artista è solo uno spettatore; per questo motivo egli non appone alcuna firma sulle sue opere (firmandole invece sul retro)» scrive Isabella Valente, docente di Storia dell’Arte contemporanea all’Università degli Studi di Napoli “Federico II” nel suo saggio per il catalogo della mostra (Paparo Editore).
Paolo è nato nella Sanità, un quartiere ancora intatto, che resiste a qualsiasi scalfittura proveniente dall’esterno, nel bene e nel male. Chi vi è nato la sente come il cuore autentico, pulsante e sempreverde di Napoli. Si rigenera di anno in anno, di secolo in secolo, con i suoi tipi, la sua gente, volti e occhi sempre uguali che ritornano. Riflette in piccolo quella infinita ricchezza e varietà dell’intera società napoletana, di cui Paolo avverte empaticamente soprattutto le armonie. E dall’‘antico’ caos del quartiere estrae sempre il bello, come un raggio di sole che illumina un angolo dei tetti o il buio degli anfratti.
«Le opere che Paolo dedica a Napoli sono a volte ossimoriche: a fronte di una città che porta dentro di sé il frastuono della sua popolazione, le sue rappresentazioni sono spesso prive della presenza umana. Sono luoghi silenti o deserti, fortemente evocativi. Le sale vuote del Museo Archeologico Nazionale, gli androni degli antichi palazzi, le geometriche vedute dei tetti colte attraverso un allungare lo sguardo fra strette fessure o spazi angusti, gli angoli solitari delle vie, le ombre create dal sole calante, un vecchio muro segnato dall’intonaco scrostato, i colombi sul davanzale, un cane, un’ombra, una finestra buia, un campetto di calcio vuoto, immagini meditative di un realismo del quotidiano, frammenti di vita che egli coglie e fissa su piccoli supporti. Questa è la Napoli di Paolo, una Napoli vera, antica e contemporanea, sempre immobile. Sono visioni insolite di una città paradossalmente silenziosa e vuota, quasi straniante, ma intensamente lirica» continua la Valente.
Paolo La Motta. Un pittore al di fuori di ogni sistema
«Due mostre al Museo e Real Bosco di Capodimonte nel 2018 e nel 2021 e una prima al Palazzo delle Arti di Napoli nel gennaio 2018, una bella mostra alla Galerie Mercier, in rue de l’Université a Parigi, non sono riuscite a cogliere la particolarità dell'artista napoletano Paolo La Motta. Mi ci sono volute molte visite al suo studio e molte conversazioni con il pittore per afferrare l’essenza della sua arte» afferma Sylvain Bellenger, Direttore generale del Museo e Real Bosco di Capodimonte che ha scoperto l’artista andando a vedere una sua mostra al Pan-Palazzo delle Arti a Napoli e che, da subito, non ha avuto dubbi sul suo talento, invitandolo successivamente ad esporre nelle sale di Capodimonte.
«La prima particolarità di La Motta è che lavora e vive al di fuori di qualsiasi sistema, mentre l'arte contemporanea è soprattutto un sistema» afferma Bellenger senza alcuna polemica contro il sistema dell’arte ma solo per sottolineare la singolarità di La Motta come ricercatore solitario, nel suo piccolo studio nella Sanità, suo quartiere natio nel quale continua a vivere e a riflettere tutto il mondo e, in particolare, tutto il mondo della pittura, di cui conosce storia, lotte, ambizioni e naufragi.
«La Motta, nel suo isolamento artistico, è un pittore colto – continua Bellenger - il suo sguardo brulica di immagini di riferimenti e connessioni che lo pongono costantemente al centro del mondo che lo circonda, ma anche di mondi lontani nello spazio e nel tempo. La sua ricerca non gli lascia altra scelta che quella necessaria e ovvia. La sua libertà è senza alternative: La Motta è un pittore come uno è un giardiniere, un musicista o un astronauta, quelle professioni che definiscono così profondamente la propria vita tanto da invadere il proprio rapporto con la natura, con il rumore, con il silenzio o con il cielo stellato. La Motta è solo come lo scrittore davanti alla sua pagina bianca e quando fugge verso la scultura è ancora la pittura a guidarlo».
Bellenger riconosce in La Motta anche la curiosità di collezionista insaziabile, di grande scopritore di opere o artisti dimenticati dalla storia, «una storia che semplifica il passato come il presente semplifica l'abbondanza del contemporaneo».
«La storia è scritta più profondamente dagli innumerevoli dimenticati che dalle celebrità che accecano gli uomini e semplificano le epoche. Particolarmente sensibile e incredibilmente familiare con questi talenti che la ristrettezza spaziale e mentale delle istituzioni condanna all'oblio o, eccezionalmente, alla riscoperta. Il suo dialogo con il passato, ieri, l'altro ieri o anche più lontano, non è diverso dalla sua visione del mondo di oggi, La Motta è la loro memoria vivente, libera e selettiva, ma sempre grata».
La mostra Il mare bagna Napoli. Sequenze di Paolo La Motta è realizzata da GESAC-Aeroporto Internazionale di Napoli insieme al Museo e Real Bosco di Capodimonte, con la collaborazione dell’associazione Amici di Capodimonte ets. Progetto di allestimento di Lucio Turchetta.
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