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Così, dopo l'unità d'Italia, punirono i matematici che non accettarono l'occupazione piemontese

Così, dopo l'unità d'Italia, punirono i matematici che non accettarono l'occupazione piemontese

La repressione: emarginati dal Governo dopo l’unità, gli allievi di Nicolò Fergola e Vincenzo Flauti. La damnatio memoriae per le scuole scientifiche napoletane

Dopo l’unità d’Italia vi fu una vergognosa damnatio memoriae verso alcuni scienziati e verso intere scuole scientifiche che non accettarono l’occupazione piemontese, una damnatio associata ad una spietata selezione delle classi dirigenti, di docenti e scienziati. Un esempio è quello delle scienze matematiche. Si affrontarono in quei giorni due scuole, e la cancellazione della memoria della prestigiosa Scuola sintetica napoletana fu dovuta non ad aspetti scientifici, ma politici. Da una parte, i sintetici, la cui Scuola fu fondata dal cattolicissimo Nicolò Fergola (ritratto nella foto) e continuata da Vincenzo Flauti. Erano conservatori sia in matematica che in politica e appoggiavano il Governo borbonico. Dall’altra, gli analitici, progressisti sia in matematica - in quanto aperti a tendenze della matematica francese - sia in politica. Erano liberali e unitari. Lo schema della criminalizzazione dell’avversario politico con la cancellazione della fama e degli incarichi è troppo simile a quello seguito nello stesso periodo e fino ad oggi nella selezione delle classi dirigenti meridionali. Le posizioni dei personaggi in questione erano chiare per i loro nemici: Fergola fu contrario alla repubblica giacobina del 1799. Era cattolico e vicino ai Borbone; Flauti arrivò a restituire al Luogotenente generale la lettera con la quale lo si pregava di gradire una qualunque nomina nel nuovo Governo italiano. I balconi della sua abitazione rimasero chiusi per una protesta simbolica contro il nuovo Governo garibaldino-sabaudo. Come hanno evidenziato i recenti studi di Giovanni Ferraro e John Davis, c’ è da chiedersi se fu allora che si formò il pregiudizio antimeridionale che domina ancora, visto che proprio allora nacque la tesi secondo la quale gli italiani non avevano alcuna colpa nell’ arretratezza del Sud, che sarebbe stata sempre e comunque dei meridionali. L’obiettivo del Governo italiano era trovare tra i titolari di cattedre universitarie e i membri dell’Accademia elementi di sicura fede anti-borbonica. La situazione non differiva per altri funzionari pubblici e per gli ufficiali dell’Esercito. Ma chi aderiva al nuovo regime conservava o incrementava i propri privilegi. Per questo motivo, tra i matematici, Nicola Trudi poté conservare la cattedra ed essere riammesso all’Accademia. Per lo stesso motivo, “il bisbetico Flauti” - come lo definisce Benedetto Croce - non ne fece più parte. Fu così che i destini di Flauti e Trudi, che per 20 anni erano stati strettamente legati, si separarono: “Trudi diventò un matematico italiano […] Flauti, invece, scelse di morire napoletano”, scrive Ferraro. Esemplari le sue osservazioni sulla colonizzazione del Sud dal 1860 ad oggi: “Volendo leggere la vicenda Trudi-Flauti con occhi liberi dalla retorica ‘risorgimentale’ e con un briciolo di retorica, appare chiaro che la rimozione del passato fu il prezzo pagato da Trudi per diventare un matematico italiano. Tutto sommato fu fortunato: in quegli anni gli operai di Pietrarsa o i contadini della Pentria pagarono ben altro prezzo e, alla fine, diventarono soltanto terroni”.

*presidente del Movimento Neoborbonico

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