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Le radici del sud
02 Ottobre 2024 - 15:58
Il francobollo nel servizio postale nasce in Inghilterra nel 1840 ma, nel 1841, Amy Autran, di famiglia ginevrina ma napoletano di nascita, direttore tecnico delle Manifatture Cotoniere Meridionali, ne propose l’uso all’Amministrazione delle Poste e dei Procacci dei Reali Domini al di qua del faro, che armava una decina di navi a vapore adibite a servizio postale fra i porti del Regno e gli altri Stati preunitari. L’Amministrazione incaricò Autran di approntare, con la consulenza dell’amministrazione postale inglese, i primi prototipi di stampa che riportavano l’effigie di Ferdinando II, convinto fautore di una razionalizzazione del servizio postale del Regno. Con il Real Decreto 4210 del 9 luglio 1857 l’uso dei francobolli entrava nel servizio postale, riformato e reso particolarmente efficiente. La serie era di sette francobolli da 1/2 grana a 50 grana di color carminio con uno spazio suddiviso in tre parti raffiguranti i simboli di Napoli, della Trinacria e i Gigli Borbonici. La speciale carta filigranata era prodotta dalla cartiera di Vietri di Buonaventura Tajani e D. Francescantonio Fusco.
Nell’officina dove venivano stampati i francobolli del Regno funzionava una macchina completa di costruzione inglese. Di lì a poco con l’invasione piemontese tutto cambierà, in meglio? Non fu così: i francobolli con il “re galantuomo” cominciarono subito a costare di più di ben 20 centesimi, ma l’italietta era nata. La rete telegrafica del Regno delle Due Sicilie, inaugurata con decreto fin dal 1815, che il neonato Stato italico ereditò, era tecnologicamente all’avanguardia - anche a seguito dei perfezionamenti del telegrafo elettrico apportati dal fisico Luigi Palmieri - molto estesa e a disposizione della popolazione. Ferdinando II ne fu promotore e volle la realizzazione di una rete telegrafica che collegasse tutti gli uffici postali delle province e delle città del Regno, Sicilia compresa, incaricando del progetto il Corpo Militare di Strade e Ponti che già in passato si era occupato della realizzazione dei ponti in ferro. La complessa orografia del territorio e la necessità di realizzare anche collegamenti sottomarini nello Stretto di Messina e con le isole rendeva l’impresa difficile, costosa e tecnicamente molto impegnativa considerando i grandi problemi di isolamento dei cavi e l’amplificazione del segnale elettrico per lunghe distanze. Il macchinario per posare i cavi sottomarini nello Stretto, tamburo, freni, guide, selle furono costruiti a Pietrarsa (Portici), nello stabilimento metalmeccanico di Zino & Henry e nell’Arsenale di Napoli e posti a poppa del brigantino Principe Carlo. Le operazioni di posa del cavo, con l’ Avviso a vapore Miseno e la pirofregata Veloce come navi appoggio, furono iniziate a gennaio 1858 e rese difficili dalle correnti e dalle condizioni meteorologiche incostanti tipiche dello Stretto di Messina. Il 28 gennaio 1858, però, la Sicilia era regolarmente collegata alla rete del continente. Sempre nel 1858 vennero realizzati i collegamenti con Reggio Calabria, grazie a un cavo che scendeva a una profondità di mille metri. Nell’estate del 1858, visto l’esito positivo del collegamento nello Stretto, vennero realizzate le linee telegrafiche con le isole di Procida ed Ischia, inaugurate il 19 agosto. Infine, è da citare il Decreto 5698 del 2 maggio 1859 con il quale Ferdinando II concedeva alla Compagnia telegrafica sottomarina Mediterranea di congiungere la linea del Regno a Malta. In base ad un accordo di potenziamento delle linee internazionali Est-Ovest stipulato fra Ferdinando II e il Sultano di Costantinopoli (1859) e, dopo una campagna di rilievi effettuata dalla nave borbonica Maria Teresa nel tratto fra Otranto e Valona, venne steso, sempre dal brigantino Principe Carlo, il cavo telegrafico di 50 miglia nautiche fra le Due Sicilie e il principato di Albania dell’Impero Ottomano. Ciò per smentire il luogo comune che Ferdinando II temesse le vie di comunicazione per proteggere il suo isolamento e il suo “assolutismo”…
*Ingegnere navale
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