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Il libro
19 Novembre 2024 - 11:55
Un vecchio magistrato in pensione dialoga con uno spettro che gli rinfaccia i torti commessi durante la sua giurisdizione nelle vesti di pubblico ministero. È in breve la trama dell'ultimo romanzo di Bruno Larosa, “Gli spettri di Dike”, edito da “La Bussola”. L'autore, avvocato penalista di grande esperienza e spessore, uno delle toghe più autorevoli del Foro di Napoli, anche in quest'opera come in altre precedenti gioca con la letteratura per parlare soprattutto di Giustizia, come evocato dalla dea Dike menzionata nel titolo.
In questo caso, più che nelle sue precedenti opere, Larosa affonda la lama affilatissima della sua prosa nel delicato e quanto mai attuale dibattito sul ruolo della pubblica accusa nel sistema giudiziario italiano, ma in particolare sui disastri causati dalle distorsioni e dalle contorsioni di tale ruolo derivanti dall'arroganza e dalla furia accusatoria giansenista di certi uffici di procura e di taluni pubblici ministeri, affiancati e sostenuti da una parte di ufficiali di polizia giudiziaria e da una parte di giudici per le indagini preliminari.
Il personaggio principale di Francesco de Falco si ritrova nella sua estrema solitudine ad essere inseguito dai fantasmi delle persone a cui tanti torti ha causato nel corso della sua decennale carriera di pubblico ministero. E tra questi fantasmi, spicca quello di un vecchio giudice, Giandomenico Guida, vittima da innocente di una pesantissima indagine portata avanti anni prima, contro ogni evidenza, da de Falco, sulla base delle farneticanti accuse di un boss della camorra “pentito”. Tra lo spettro e il magistrato in pensione si avvia così un serrato confronto dialettico che mette a nudo due opposte visioni della magistratura, della sua natura e del fine che il potere giudiziario dovrebbe perseguire.
Per l'ex procuratore de Falco, il magistrato ha il compito di estirpare il male dalla società, di sconfiggere la piaga della criminalità, e per questo “nobile” scopo tutti i mezzi sono leciti, anche i più turpi. Per l'ex giudice Guida, al contrario, la magistratura deve, lontana da fini moralistici, esclusivamente accertare i fatti e applicare la legge al caso concreto. Questo dibattito non può non allargarsi naturalmente a coinvolgere il ruolo degli avvocati penalisti, dei giornalisti, degli ufficiali di polizia giudiziaria.
Nell'accalorarsi della discussione tra l'ex magistrato e lo spettro, l'autore fa cenno a casi giudiziari che i due duellanti ricordano, oltre a quello eclatante che ha visto vittima innocente Giandomenico Guida. E per quanto l'autore si affretti a precisare che non di fatti realmente avvenuti si tratta, ma di invenzioni della sua fantasia, il lettore più accorto e con una memoria più antica inevitabilmente sarà portato a ripensare ad alcuni delle vicende giudiziarie più gravi vissute a Napoli venti o trenta anni fa. E del resto il sottotitolo del romanzo di Larosa, “Exemplum”, rimanda esplicitamente ai brevi racconti di natura morale in voga nel Medioevo che avevano, come principale prerogativa, l'impegno di parlare di fatti realmente accaduti.
Ma al di là e ben oltre gli eventuali riferimenti di cronaca, il romanzo di Larosa è importante per l'approccio filosofico al diritto processuale e all'applicazione della Giustizia terrena operata nei tribunali italiani. E alla drammatica opposizione tra due distinte teorie. L'ex procuratore in pensione afferma testualmente: «Qui il malaffare e la criminalità controllano ogni cosa; anche quelli che vengono assolti non sono innocenti, ma colpevoli: assolti perché non siamo riusciti a provare la loro responsabilità». Una missione moralizzatrice, quella di certi pubblici ministeri, che ne fa dei sacerdoti invasati della Santa Inquisizione.
Consapevoli che comunque, anche se poi l'imputato verrà assolto, la sua pena ingiusta l'ha comunque pagata per essersi visto sottoposto ad indagini, sputtanato sui giornali e in televisione, spesso persino privato della libertà. Parole durissime l'autore usa poi nei confronti di quei giudici per le indagini preliminari troppo spesso appiattiti sulle posizioni accusatorie delle Procure per semplice colleganza o per colpevole sottomissione culturale o, è il caso anche talora di giudici del Riesame, per paura di vendette e rappresaglie.
Non manca, in questa operetta morale sulla Giustizia italiana, una riflessione dedicata al ruolo dell'Avvocatura, e in particolare dei penalisti, nella difesa dei cittadini, della libertà e della democrazia. Un romanzo, quello di Bruno Larosa che, come gli altri suoi precedenti, scorre veloce grazie alla prosa mai noiosa, ma costringe però a soffermarsi ad ogni passo per riflettere su un tema che tocca la vita di ognuno di noi e della nostra società nel suo complesso.
“Gli spettri di Dike” sarà presentato a Napoli mercoledì 20 novembre alle 11,30, presso la Sala Metafora del Palazzo di Giustizia. Con l'autore, dopo i saluti degli avvocati Carmine Foreste, presidente del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Napoli, e Fabio De Maria, componente del Consiglio direttivo dell'associazione “Pietro Calamandrei”, interverranno il professore Massimo Di Lauro, il professore Giorgio Spangher, il giornalista Errico Novi. Presenta e modera il dibattito l'avvocato Giorgio Varano, responsabile comunicazione dell'Unione Camere Penali italiane.
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