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IL LIBRO
05 Dicembre 2024 - 14:36
Le Fabulae dell’ex schiavo nato in Oriente e vissuto a Roma esprimono una saggezza popolare che la traduzione rende bene con una riscrittura fedele, creativa e attenta ai dettagli e ai risvolti psicologici
Habent sua fata libelli. I libri hanno fortuna oppure vengono dimenticati. Le Fabulae di Fedro, vissuto nel I secolo d.C.,sono state fonte d’ispirazione per altri scrittori. Questo ex schiavo di origine orientale, vissuto nel I secolo d.C., trasferitosi a Roma ha composto cinque libri di racconti, per lo più brevi, nei quali fa parlare gli animali e, talvolta, narra aneddoti di qualche personaggio del passato. Si ispira ad Esopo, il leggendario scrittore greco ritenuto inventore di questo genere letterario, e utilizza un simbolismo universale, quello del mondo degli animali con cui gli antichi vivevano a stretto contatto. Gli animali, con i loro comportamenti, sono la rappresentazione dei sentimenti, buoni e maliziosi, degli uomini, delle loro virtù e dei loro vizi. Gli animali di Fedro - ha scritto Ferdinando Solinas - «non agiscono come animali, ma soltanto come uomini; pertanto gli uomini che si presentano in talune composizioni potrebbero benissimo essere chiamati con nomi di animali. Non cambierebbe nulla».
Anche nel Vangelo adopera il suo “bestiario” e, per esempio, invita a stare in guardia dall’aggressività dei lupi, come serpenti, e ad apprezzare la mitezza degli agnelli (Mt 10,6). Questo discorso allegorico è di facile comprensione. È adatto a tutti i destinatari, quelli più colti e quelli meno istruiti, per trasmettere messaggi di natura morale e per proporre descrizioni psicologiche. Non a caso il primo autore che sicuramente compose favole fu uno “psicologo”, Demetrio Falereo, un filosofo peripatetico, discepolo di Teofrasto, l’autore dei “Caratteri”, opera in cui si descrivono con acutezza di penetrazione i comportamenti dei vari “tipi” umani. Fedro appare non solo un pedissequo imitatore di modelli precedenti. È dotato di una sua originalità. È sua, per esempio, la scelta di adoperare versi al posto della prosa usando i ritmi del teatro comico, genere letterario al quale la favolistica è imparentata. Sapientemente ha scelto di elaborare in versi le sue traduzioni anche il reverendo sacerdote Antonio Luiso che ha selezionato 50 fabulae fedriane rendendole nella lingua napoletana. È un’operazione filologica lodevole. Infatti, il contenuto delle favole di Fedro è portatore di una sapienza popolare che proprio la lingua partenopea veicola con spontaneità e densità. La disincantata e amara denuncia dell’imposizione della legge del più forte, privo di ogni scrupolo morale, sui più deboli, per quanto innocenti, esposta nella notissima favola del lupo e dell’agnello, è motivo ricorrente anche della paideia popolare della cultura napoletana. La lingua napoletana è musicale, tant’è vero che la canzone napoletana è patrimonio culturale universale. Musicale è pure la lingua latina, ora maestosa, ora rapida e squillante nel suo fluire. Sicché la traduzione napoletana dei testi latini di Fedro risulta una sorta di riscrittura fedele eppure creativa allo stesso tempo perché il napoletano attento ai dettagli e, in essi, ai risvolti psicologici, richiede l’uso di un maggior numero di termini del latino, più sintetico nella sua capacità di fissare i fatti nelle parole.
*Sacerdote, socio della Pontificia Academia Latinitatis
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STORIE E DIALOGHI CAPACI DI RESISTERE ALL'USURA DEI SECOLI
UN ASSAGGIO: “’E paraustielle”: il lupo e l’agnello e la storia del vecchio leone morente di fronte all’asino
Il prof. Don Antonio Luiso, ha tradotto in napoletano il Vangelo di Marco, il libro dell’Apocalisse, la commedia di Aristofane “Le donne in parlamento”, e l’opera di Anselmo "Cur Deus homo?".
Da “’E Paraustielle. 50 favole di Fedro tradotte in Napoletano”, (Editoriale Il Giglio, Napoli 2024) pubblichiamo alcuni brani per concessione dell editore.
’O lupo e ’o pecuriello
Se truvajeno a rriva ô stesso sciummo,
arz’ ‘e sete, ‘nu lupo e ‘o pecuriello.
‘O lupo â part’ ‘e coppa
e assaje cchiù bbascio
steva situato‘o pecuriello.
Quann’ô birbante ‘o muzzecaje ‘a famma
cercaje ‘na scusa pe’ ppiglià quistione.
Dicette “Embè, pecchè me fai ‘na chiaveca chest’acqua ca io mme vevo?”
E ‘o pecuriello, tutt’appaurato:
“Agge pacienzia, e comme pozzo fà
chello ca te lamiente, oj lupo mio,
si ‘a sott’a tte ne scenne ll’acqua ca me vev’io?”.
E chillo fuje abbinciuto annanz’ ‘e fatte.
“Se’ mise fa” dicette “’ncuoll’a mme
Mettiste chilli ‘nciuce!”
E ll’àino rispunnette: “E chi nce steva?
Sei mise fa nunn ero manco nato!”
“Pàtete” dicett’ isso “p’ ‘a miseria!
fui isso ca ‘e mmettette!”.
E accussì fui: piglia e ‘o dette ‘ncuollo.
‘O lione viecchio, ‘o puorco, ‘o toro e ‘o ciuccio.
Quanno ‘nu piezzo gruosso va a sfunnèrio
pure ‘o cchiù fesso
se ne vò vedè bbene ‘e st’ arruìna.
Già cu ‘nu ped’ â fossa e senza forze,
accucciato pe’ tterra, ‘nu lione
steva caccianno ll’urdemo suspiro,
quanno, scummanno ‘a vocca,
‘nu puorco furesteco cu ‘e zzanne
currette e ‘o dette ‘ncuollo, vennecanno
‘nu tuorto antico.
Subbeto po’ ‘nu toro
cu cchelli ccorne a pponta,
pur’isso ‘o dette ncuollo e ‘o spertusaje.
Quanno ‘o ciuccio vedette
ca chi faceva âffrunte asceva franco,
pur’isso a bbotta ‘e càuce
ll’ammatuntaje ‘o fronte.
Ma chillo primma ‘e scapezzà dicette:
“A ssuppurtà ll’aggrisso ‘e chilli dduje
putiente, certo, m’è saputo adduro;
ma c’aggi’ ‘a suppurtà
addirittura a tte, scuorno ‘e ‘stu munno,
me pare ca ddoje vote sto murenno.
Traducendo dal latino al napoletano 50 favole di Fedro, Antonio Luiso sottopone la nostra lingua a un altro stress test, quello sulla sua capacità di restituire l’essenzialità del latino di un autore del I secolo dopo Cristo, che fa parlare gli animali con i sentimenti degli uomini. La lingua nella quale Giovanbattista Basile compose nel ’600 favole che poi hanno ispirato la letteratura fiabesca mondiale regge? A noi sembra proprio di sì. E sottoponiamo l’esperimento ai lettori del ROMA. Per loro, come omaggio natalizio, uno sconto riservato per l’acquisto di “’E paraustielle. 50 Favole di Fedro tradotte in napoletano”. Il coupon va presentato il 6 dicembre dalle ore 17 alle 20,30 all’Hotel Renaissance Mediterraneo di Napoli. Oppure va spedito a “Fondazione Il Giglio” via Crispi 36/a 80121 - Napoli.
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