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02 Maggio 2025 - 09:18
In un’epoca scandita da notifiche, algoritmi e routine asfissianti, riaprire le pagine di “Sulla strada” di Jack Kerouac non è solo un atto di nostalgia letteraria. È un gesto rivoluzionario, un invito a riconquistare la libertà interiore che il mondo iperconnesso rischia di soffocare. Pubblicato nel 1957, il romanzo, manifesto della Beat Generation, vibra ancora di un’energia primordiale, capace di risvegliare il ribelle, il sognatore, il cercatore che alberga in ciascuno di noi. Oggi più che mai, immergersi nel suo flusso di coscienza è un antidoto all’anestesia dell’anima.
Kerouac non scrive semplicemente di viaggi attraverso l’America sconfinata. Dipinge una sinfonia di libertà, in cui le strade polverose, i jazz club fumosi e le anime in fuga diventano metafore di una ricerca universale: quella di un senso autentico, non impacchettato dalle regole della società. Sal Paradise e Dean Moriarty, con la loro fame di vita, incarnano il coraggio di abbandonare le sicurezze per abbracciare l’ignoto. Non è un invito alla fuga, ma alla rivelazione: solo perdendosi, si può ritrovare se stessi. I romanzi di Kerouac sono tuttigridi silenziosi contro l’ipocrisia, l’omologazione, la paura di vivere. La sua prosa jazzata, fluida come un’improvvisazione di Charlie Parker, non celebra il caos, ma la consapevolezza. Ogni personaggio, ogni paesaggio, ogni notte stellata nelle praterie è un invito a riscoprire la sacralità del momento presente. Kerouac ci ricorda che la spiritualità non sta solo nei templi, ma forse anche e soprattutto nell’abbandonarsi al flusso della vita, nell’ascoltare il battito del proprio cuore sopra il rumore del mondo.
E sì, perché in un mondo dominato dal culto della produttività e dal mito del successo, Kerouac è un faro per chi sente il richiamo dell’essenziale. I suoi eroi non hanno smartphone, ma cercano connessioni autentiche; non inseguono “like”, ma verità scomode. La loro “folliadivina” è un monito: la vita non è un asset da ottimizzare, ma un’avventura da vivere con tutti i sensi. In un mondo che ci spinge a essere sempre altrove digitalmente, mentalmente, fisicamente Kerouac ci insegna a essere “qui”, con ferocia e tenerezza. Rileggerlo non è rimpiangere la gioventù perduta. È un atto di resistenza poetica. Ogni frase è una scintilla che accende il desiderio di partire, di amare senza riserve, di guardare il cielo notturno come fosse la prima volta. I suoi libri sono mappe per anime irrequiete, promesse che oltre il grigiore ci sono deserti da attraversare, montagne da scalare, verità da urlare al vento.
A vent’ anni, “Sulla strada” ti ruba il fiato con la sua audacia. A quaranta, ti commuove con la sua ricerca di pace. A sessanta, ti sussurra che non è mai troppo tardi per rinascere. Kerouac non invecchia mai perché parla alla parte di noi che rifiuta di addomesticarsi, che sogna ancora, fuori dalle gabbie in cui è costretta. Se senti che qualcosa ti manca, anche se non sai cosa, afferra “Sulla strada”. Lascia che le parole dell’io narrante ti trascinino in un turbine di polvere e stelle. Scoprirai che la libertà non è in un posto lontano, ma è nel modo in cui respiri, ami, guardi il mondo.
I libri del vecchio Jack, che mi èancora così caro, non sono solo da leggere, infatti, sono da vivere. Perché, come scriveva il poeta della strada: “cos’è la vita se non un viaggio da bruciare con tutta l’intensità possibile?”. E allora prendi o riprendi in mano quel libro o quei libri e accendi il motore: la strada, quella d’asfalto o quella del cuore o tutt’e due scegli tu–continua pazientemente ad aspettarti e tu stai tranquillo, perché una cosa è certa: sei sempre ancora in tempo per rimetterti in viaggio.
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