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L'intervista

Maurizio de Giovanni e il «privilegio di essere scrittore a Napoli»

Il “papà" del commissario Ricciardi: «Sono essenzialmente un lettore, è da lì che parte tutto». I suoi romanzi tradotti in 48 paesi

Maurizio de Giovanni e il «privilegio di essere scrittore a Napoli»

Lo scrittore Maurizio de Giovanni

Maurizio de Giovanni, come nasce la sua passione per la scrittura?

«In realtà io sono, essenzialmente, un lettore. È da lì che parte tutto. Ho iniziato a scrivere quasi per caso: alcuni amici mi iscrissero a un concorso e decisi di partecipare, un po’ per gioco».

Il successo è arrivato con il commissario Ricciardi. Come è nato quel personaggio?

«Il romanzo l’ho scritto più che altro per divertimento. All’epoca lavoravo come funzionario di banca, ma poi ho dovuto lasciare per dedicarmi alla scrittura. Mi viene così naturale che faccio fatica a considerarla un lavoro. Inventare storie, creare mondi e dar loro forma è, a mio avviso, la cosa più bella che ci sia. Raccontare gli anni Trenta mi ha permesso di esplorare un periodo che usciva da una grande crisi economica, dove c’era un forte desiderio di ricostruzione. E poi c’è Napoli: una città che cambia continuamente, ma che conserva immutati i suoi ruoli e le sue bellezze. Essere scrittore a Napoli è un privilegio: la città offre la farsa e la tragedia, mescola classi sociali, custodisce una cultura millenaria che nessun altro luogo ha».

Come costruisce le sue storie?

«Sono convinto che ognuno di noi abbia una storia da raccontare: siamo tutti testimoni di storie. Il successo non è il punto di partenza, ma una conseguenza. Scrivo ciò che sento e che vedo, non quello che penso possa piacere agli altri».

Sta lavorando a un nuovo progetto. Ce ne può parlare?

«Sì, sto scrivendo un nuovo romanzo per Feltrinelli, diverso da tutto ciò che ho fatto finora. Non assomiglia alla serie del commissario Ricciardi, né a quella dei Bastardi di Pizzofalcone. È importante scrivere qualcosa che non assomiglia a nient’altro. Sarà un romanzo criminale, ma non un poliziesco. Racconterà due epoche: la contemporaneità e gli inizi degli anni Ottanta. Dovrebbe uscire alla fine di ottobre».

Qual è il suo metodo di scrittura?

«La scrittura, in sé, è la parte più facile. Quello che richiede più lavoro è costruire la trama. Prima immagino la storia, poi cerco gli elementi che mi servono per raccontarla».

La sua opera ha un forte respiro internazionale. Che rapporto ha con questo aspetto?

«I miei libri sono tradotti in 48 paesi e ne sono molto orgoglioso. Per esempio, in Giappone siamo già alla quinta uscita. Mi piace portare Napoli in giro, nel mondo, raccontarla per quello che è davvero, per come io la vedo, e non per come la si immagina dall’esterno».

Si riconosce in un personaggio storico in particolare?

«Non credo abbia senso privilegiare un periodo o una figura rispetto ad un’altra. L’importante è non scrivere sciocchezze, non inventare situazioni che non si conoscono. L’ambientazione storica deve essere sempre fedele, ma non ho un personaggio ricorrente».

Che consigli darebbe a un giovane che vuole scrivere?

«Due cose sono fondamentali: leggere tanto ed avere una storia da raccontare. Io scrivo perché ho una storia da dire, non perché volevo diventare scrittore ed allora mi sono inventato la storia».

Cosa pensa del film di Paolo Sorrentino “Parthenope”?

«Paolo Sorrentino ha il suo modo di vedere la città, io il mio».

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