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01 Novembre 2025 - 09:44
Era anche attore, Antonio De Curtis. Ma di certo veniva prima il mito, la maschera, il genio, l’artista. Un compendio di mosse che ha rappresentato un’epoca. Battute che ancora oggi ci hanno donato un modo di parlare, un vocabolario. Una faccia, la sua, che ha saputo sintetizzare una città. Un insieme di fattezze dalle diverse anime. Spigolosa e ammaliatrice. Sacra e profana. Popolare e aristocratica. Totò era anche questo, contraddittorio come la sua città d’origine.
Nella mostra “Totò e la sua Napoli” (a destra, foto di Gino Capolongo e Archivio Troncone), a lui dedicata e allestita al Palazzo Reale in Sala Belvedere, qualsiasi visitatore potrà spogliare la leggenda, scoprire alcuni caratteri dell’uomo e approfondire, tra fotografie e cimeli, la vita di uno dei massimi interpreti della commedia dell’arte. L’esposizione è stata promossa, tra gli altri, dal Comitato Nazionale Neapolis 2500 e durerà fino al 25 gennaio.
Al suo interno ci sono documenti originali, manufatti, ricordi, fotografie, filmati e installazioni mediali. Non mancano i costumi provenienti dalla sua valigia, i giornali e le testimonianze di coloro che lo hanno amato. Poi il suo certificato di battesimo, i cimeli che riguardano il suo servizio di leva. Varie le sezioni della mostra che ripercorrono la vita e la carriera dell’artista. Si parte dalle origini, dalla Sanità in particolare, il quartiere che gli ha dato i natali. Si narra che ogni quindici giorni, anche quando abitava a Roma, tornava lì. Chiamava l’autista, spesso di notte, e diceva di voler tornare a Napoli perché «voleva sentire l’odore del vicolo».
A testimoniarlo è stata la nipote di Totò, Elena Anticoli De Curtis, presente all’anteprima della mostra. «Questa mostra è un’occasione per conoscere meglio la personalità di mio nonno – ha affermato – tutti conoscono “Malafemmina” e “A livella”, ad esempio, ma mio nonno ha scritto oltre cinquanta canzoni e circa settanta poesie. Era un uomo a cui piaceva il silenzio, scriveva di notte in un angolo della casa che lo ispirava». Molti manoscritti sono legati alla città di Napoli e alla Costiera Amalfitana, dove amava soggiornare.
Ma tante poesie sono dedicate agli animali e alle donne che amava. Compaiono anche loro tra le fotografie allestite nella mostra. Sono pezzi della sua sfera privata che indicano Totò come un uomo che, al di là della maschera, aveva un’indole malinconica. «Di fatto Totò è una grande metafora della condizione umana. – ha detto a tal proposito Marino Niola, curatore della mostra insieme ad Alessandro Nicosia – La città lo ha amato moltissimo e incondizionatamente perché ciascun napoletano si è riconosciuto in una delle mille sfaccettature di questa maschera interclassista».
Tanta anche la soddisfazione per Tiziana D’Angelo, direttrice ad interim del Palazzo Reale: «Questa mostra fa indossare al Palazzo Reale un abito nuovo. Totò porta un’aura di contemporaneità e, allo stesso tempo, ci consente di guardare alle nostre spalle per scorgere una Napoli diversa da quella che vediamo oggi. Una sorta di finestra sul passato, ma sempre con quella ironia che caratterizza Totò».
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