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29 Marzo 2019 - 20:05
Ci siamo. Antonio Canova è al Mann e ci resterà fino al 30 giugno. “Canova e l’antico” è una mostra davvero importante che presenta per la prima volta a Napoli i capolavori del museo di San Pietroburgo. Primo fra tutti quelle “Tre grazie” la cui leggiadria ispirò anche il poema di Ugo Foscolo. Sono ben 9 le sculture che in prestito dall’Ermitage, il museo russo che ha firmato un protocollo di collaborazione quadriennale con l’archeologico, grazie al quale ospiterà la più importante esposizione su Pompei mai realizzata in Russia. Uno scambio proficuo insomma, sotto l’egida di un artista che, a detta di Giuseppe Pavanello, dotto e brillante curatore della mostra, è stato il primo grande artista europeo a tutto tondo: «Ha lavorato per Napoleone, per i re di Inghilterra – racconta Pavanello - per l’aristocrazia russa e per il re di spagna, per la Serenissima Repubblica di Venezia e per Ferdinando di Borbone a Napoli». I sovrani d’Europa, perlopiù ostili fra loro, ritrovavano nell’arte di Canova una comune matrice di gusto. Dal canto suo lui, l’artista italiano, era un convinto fautore della pace, al punto che a sue spese ne aveva realizzato l’allegoria, una colossale scultura di marmo, e l’aveva dedicata dedicata a Napoleone e alla Russia. Grazie alla diffusione dell’opera di Canova, il Neoclassicismo diventa il linguaggio dell’arte europea. È la prima volta che l’Europa parla la stessa lingua e lo fa grazie all’arte, sotto il segno dell’antico.
«L’importanza di questa mostra è tale da concretizzare la mia idea di restituire al museo archeologico di Napoli il suo ruolo di museo della Capitale di un Regno» ribadisce il direttore del Mann, Paolo Giulierini nel ringraziare soprattutto il governatore Vincenzo De Luca: « Se Canova e qua lo si deve al sostegno della Regione Campania».
E come dargli torto. In continuo dialogo con diverse opere antiche custodite nel museo, ci sono 110 opere di Canova. Dodici sono marmi straordinari: da San Pietroburgo, oltre alle Tre Grazie, L’Amorino alato, l’Ebe, la danzatrice, Amore e Psiche stanti (nella foto a destra), il Genio della Morte; l’Apollo che si incorona viene dal Getty Museum di Los Angeles, mentre sono di provenienza italiana la Maddalena penitente, il Paride e la stele di Mellerio. In arrivo da Kiev la colossale “Pace”. Numerosi i calchi in gesso, che lo scultore realizzava come modello delle opere, prima di procedere alla lavorazione del marmo. Sono tutti prestiti della Gypsoteca di Possagno, il paese in provincia di Treviso che è ha visto nascere lo scultore. Non mancano neppure i disegni e le tempere, provenienti dal museo civico di Bassano del Grappa.
Quasi un viaggio iniziatico il percorso espositivo che si snoda in senso ascensionale e che parte proprio davanti allo scalone d’onore del museo e culmina nella sala della Meridiana passando davanti all’imponente statua di Ferdinando I di Borbone, sottoposta a pulitura proprio per l’occasione. «Si tratta di un vero capolavoro - precisa il curatore Giuseppe Pavanello, che ne propone anche una rilettura originale – Finora si è detto che rappresenta il re nelle vesti di Atena, dea della sapienza, in riferimento alla sua funzione di protettore delle arti. Invece io credo che, l’elmo greco posto sul capo di Ferdinando alluda alla sua funzione politica: è il sovrano che ha scacciato i francesi e che perciò si presenta come un novello Pericle, che restituisce l’indipendenza al suo regno».
Una mostra ricca di implicazioni: non solo l’occasione per ammirare opere mai viste, ma soprattutto uno spunto di riflessione sul ruolo decisivo che la cultura italiana ha giocato e può ancora giocare sullo scacchiere globale.
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