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LIBRI
20 Giugno 2022 - 11:47
Una misteriosa voce narrante maschile ci parla di una ragazza dal fascino insolito, dai capelli castani, la pelle color caffellatte e gli occhi quasi gialli. Lei ha circa vent’anni, viene dal Nord ed è in viaggio con il suo ragazzo. Ha voluto fermarsi in una casa al mare del Sud Italia per motivi che hanno a che fare con ciò che lei scrive, per diverse ore al giorno, su un quaderno. Lui la osserva, la studia e la brama. La ragazza legge e scrive, e lui descrive i suoi gesti con un certo trasporto sensuale.
Con il tempo, si scava un solco fra la scrittrice e il suo ragazzo. Quella terra assolata e benedetta dal mare che all’inizio sembra solo il perfetto teatro per una vacanza, mostra progressivamente le sue ombre, i suoi aspetti più inquietanti. Mentre il ragazzo non li comprende, non li accetta e ne è turbato, lei vi entra in sintonia, sembra quasi cercarli, e in quella dimensione indefinibile pare addirittura trovare la serenità che di solito le manca.
Questo è l’inizio della trama de “Gli scorpioni”, il nuovo libro di Giuliano Pavone (Laurana Editore). «Più che un libro da ombrellone, lo definisco un libro da pineta, da amaca o da scoglio. L’ambientazione estiva e balneare non è sinonimo di frivolezza. Diventa invece il teatro in cui prendono corpo le riflessioni, in cui c’è tempo e spazio perché si formino i pensieri. Racconto un Sud misterioso. Mi sono ispirato ai miei luoghi pugliesi, ma li ho collocati in una dimensione sospesa, un po’ irreale e fuori dal tempo. Un Sud bello e luminoso, ma anche oscuro, pieno di suggestioni ancestrali. È un romanzo di luci e di ombre, come descritto bene dalla copertina», spiega Giuliano Pavone.
Il libro è anche una riflessione sulla scrittura, sul processo creativo e sull’amore per i libri: «Parlo del processo creativo della scrittura, accostandolo alla scultura: in entrambi i casi si parte accumulando tanto materiale e dandogli una forma solo abbozzata, per poi passare a togliere ciò che è di troppo e a modellare e cesellare con sempre maggiore precisione ciò che è rimasto. Ma parlo anche della dimensione fisica del libro e della scrittura. Il legno e la grafite della matita. Il rumore tipo sci sulla neve della punta della matita quando sottolinea. La matita messa in bocca nell’atto di pensare, quasi che se ne potessero succhiare le parole, l’inchiostro che permea la carta, le pagine che cambiano di consistenza dopo che sono state scritte o lette», conclude Pavone.
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