Speciale elezioni
L'INTERVENTO
18 Novembre 2025 - 09:39
La qualità della giustizia dipende dalle qualità umane dei magistrati e dal ruolo della Corte dei conti come guida equilibrata e responsabile della Pubblica Amministrazione, affinché il giudizio sia esercitato non solo secondo diritto, ma secondo autentica giustizia Qualsiasi Istituzione vive e agisce attraverso le persone che ne fanno parte, che la fanno funzionare ed evolvere. È la qualità di queste persone che determina, in prevalenza, la qualità della stessa Istituzione. Ciò vale, ovviamente, anche per le Magistrature.
Teoricamente tutti i magistrati dovrebbero agire con lo stesso rigore, la stessa umiltà, lo stesso senso del limite . Forse non sempre è così. La diversità esiste, è fisiologica, in genere è preziosa. Il pluralismo delle posizioni può diventare risorsa, però, solo se sorretto da un terreno comune di imprescindibili valori condivisi, dalla disponibilità reciproca all'ascolto e dalla consapevolezza che nessuno è depositario della verità assoluta. Se questi elementi mancano, il sistema rischia di entrare in crisi. Si tratta, infatti, di funzioni in cui l'assenza di equilibrio, di serenità d'animo, di buon senso, di pacatezza, di saggezza e di senso pratico, forse anche di empatia umana, può produrre effetti devastanti.
Come ben spiegava Rosario Livatino già nel 1984, «è importante che [ogni Magistrato] offra di sé stesso l'immagine non di una persona austera o severa o compresa del suo ruolo e della sua autorità o di irraggiungibile rigore morale, ma di una persona seria sì, di persona equilibrata sì, di persona responsabile pure; potrebbe aggiungersi, di persona comprensiva ed umana, capace di condannare, ma anche di capire. Solo se il Giudice realizza in sé stesso queste condizioni, la società può accettare ch'egli abbia sugli altri un potere così grande come quello che ha»; e in ciò riprendeva taluni spunti di riflessione formulati dal Calamandrei nel suo Elogio: «Difficile è per il giudice trovare il giusto punto di equilibrio tra lo spirito di indipendenza verso gli altri e lo spirito di umiltà verso sé stesso: essere fiero senza arrivare ad essere orgoglioso, e insieme umile senza essere servile Per il giudice la verità deve contare più dell'altrui prepotenza, ma anche più del suo amor proprio».
Riflessioni che denotano una concezione intrisa di valori apicali, chiamati ad ispirare e guidare lo svolgimento di una funzione essenziale per il benessere e la prosperità di qualsiasi collettività. L´idea di introdurre nuovi e ulteriori parametri selettivi, a cura dei rispettivi Organi di autogoverno, per l'accesso alle Magistrature verosimilmente si ricollega proprio a tale visione «virtuosa» della funzione magistratuale.
Invero, a ben riflettere, potrebbe apparire non molto equilibrato che un semplice aspirante carabiniere, finanziere o poliziotto debba affrontare fino a tre giorni di valutazioni psico‐attitudinali per poter svolgere funzioni di polizia giudiziaria esclusivamente operative, mentre un suo coetaneo giovane magistrato, per quanto di brillante eloquio e vasta cultura, possa essere investito del ben più pregnante potere di giudicare comportamenti degli esseri umani, incidendo anche sulle loro vite pubbliche e private, senza alcuna verifica oggettiva circa il possesso di tutte quelle imprescindibili qualità umane che contribuiscono in maniera determinante al corretto esercizio del potere medesimo. Del resto, nelle più antiche civiltà dalla Grecia classica alla Roma repubblicana i Giudici venivano scelti certamente in base alla conoscenza delle norme e dei codicilli, ma soprattutto per la ricchezza di quel patrimonio interiore in grado di valorizzare le qualità umane rispetto alle conoscenze tecniche.
E oggi, mentre l'intelligenza artificiale si affaccia prepotentemente nel mondo del diritto e delle relative applicazioni, non si può non evidenziare il limite oggettivo di tale evoluzione tecnologica, legato all ´incapacità malgrado che la cognizione giuridica della «macchina» risulti ben più vasta rispetto a quella dell´essere umano di digitalizzare anche «la consapevolezza del potere mai disgiunta dalla sensibilità nel suo esercizio» ovvero «la capacità di giudicare non solo secondo diritto ma anche secondo Giustizia». Ciò che fa la differenza tra un buon magistrato e un tecnico autoreferenziale, insomma, è la capacità di interpretare ed applicare la norma nel modo più corretto e aderente alla fattispecie concreta, con l'unico fine di regolare al meglio i rapporti di pacifica convivenza sociale (perché a questo, e solo a questo, serve la Giustizia), senza mai innamorarsi del valore «tanto astratto quanto vuoto» della norma medesima.
Tale riflessione, ovviamente, vale per tutti i plessi della Giustizia: nella regolazione dei rapporti fra privati, nella valutazione di quelli fra i privati e la P.A., nella sorveglianza sul rispetto delle regole fondamentali di convivenza. A maggior ragione essa incide anche nel plesso della Giustizia contabile, la cui missione «fondante», di estrema delicatezza, non consiste tanto nella ricerca e nella condanna dei funzionari infedeli, quanto nell´aiutare la P.A. a funzionare sempre meglio : perché il «buon andamento», previsto e predicato dall´art. 97 Cost., è certamente affidato al fare dei funzionari, dei dirigenti e degli amministratori pubblici, ma sotto la costante e accorta vigilanza, in ultima istanza, di un Organo autonomo, terzo e indipendente, cioè scevro da qualsiasi condizionamento 163180 Corte dei conti15-11-2025 Pagina Foglio 2 / 2 www.ecostampa.it politico. Lo affermava già nel 1862 il primo presidente della Corte dei conti: la ragion d´essere di questa Alta Magistratura (la prima ad essere costituita nel Regno d´Italia) nasce dall´esigenza di sostenere i Ministri nel governare, senza prevaricazioni ma «accompagnandoli» nell´azione di governo.
Purtroppo, a distanza di oltre 160 anni, la Corte rischia di essere talvolta percepita come «poco funzionale» alla stessa P.A., capace (involontariamente) di mettere alla gogna un amministratore pubblico con un semplice «invito a dedurre», che non è certo un atto d´accusa finale, anzi, ma quando finisce nel clamore del circuito mediatico può rovinare, forse irrimediabilmente (cioè anche dopo sentenze definitive di assoluzione), legittime carriere di professionisti, magari rei soltanto di aver affrontato fattispecie gestionali complesse per le quali non esiste (ancora) un indirizzo interpretativo/applicativo consolidato Si consideri che in Italia ci sono circa 38.000 «amministratori» con potere di firma, laddove ogni firma può impegnare una piccola o grande porzione dell'intera finanza pubblica.
Fra essi, anche ai vertici amministrativi della stessa Corte dei conti capita di dover affrontare fattispecie complesse, di trovarsi al cospetto di atti dubbi, di norme ambigue: in questi casi non si può procedere in modo istintivo, ma ci si confronta all´interno dell'Istituto con magistrati e dirigenti, si chiedono pareri al Consiglio di Stato, all´Avvocatura dello Stato, all´ANAC o ad altri organi di controllo/consulenza. Quasi sempre tale attività si rivela un mix di coraggio interpretativo e di prudenza applicativa per giungere alla decisione finale. Eppure, gli stessi dilemmi che affronta saltuariamente il segretariato generale della Corte dei conti affliggono, sempre più spesso, anche i dirigenti scolastici dei piccoli plessi didattici, i responsabili amministrativi delle ASL più periferiche, i segretari comunali nei territori montani, insomma qualsiasi gestore di risorse pubbliche.
La «paura della firma», quella vera, non è paura della responsabilità, ma timore dell'isolamento. Il vero problema è quello di non sapere a chi rivolgersi quando le norme non sono chiare, quando manca una guida di riferimento. Se perfino quel segretariato generale, con grande esperienza nel settore e dotato di strumenti giuridici adeguati, ha bisogno di pareri per decidere, figuriamoci chi lavora in condizioni ben più difficili e senza ausili tecnici. La Corte dei conti potrebbe allora tornare a svolgere una funzione di supporto, di guida, di orientamento per l´intera P.A., centrale, regionale e locale.
Non si tratta certo di «cogestire», bensì di «accompagnare»: nella culla del diritto era ben noto ai giureconsulti (della cui autonomia mai nessuno ha dubitato) il brocardo da mihi factum, dabo tibi ius; forse non sarebbe male rispolverarlo. Esplicitare un principio interpretativo, fornire un riferimento giurisprudenziale, non significa certo abdicare al ruolo di Organo terzo e indipendente, ma adempiere alla missione costituzionalmente assegnata, valorizzando la funzione «ausiliaria» sancita dall´art. 100 Cost. Fermo restando, in ultima analisi, che l´autorevolezza di tale funzione sarebbe comunque assicurata anche dalla coeva intestazione tanto del potere sindacatorio quanto della giurisdizione risarcitoria. Oggi, più che mai, occorrerebbe esercitare questo ruolo con intelligenza e capacità di ascolto , perché anche da qui si misura la qualità della democrazia nella nostra Repubblica.
(editoriale di Franco Massi, Presidente aggiunto della Sezione regionale controllo Lazio e Segretario generale della Corte dei conti, pubblicato sul Corriere.it)
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