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Il vertice

La lunga notte dell'Ue per le nomine: «Non si decide senza l’Italia»

Il Ppe media per coinvolgere i conservatori di Meloni ma i socialisti si oppongono

La lunga notte dell'Ue per le nomine: «Non si decide senza l’Italia»

Il PPresidente del Consiglio, Giorgia Meloni, insieme agli altri Leader del Consiglio europeo

Sfida con la Francia per una vicepresidenza economica di peso per Fitto. Ma i conservatori rischiano di perdere i deputati polacchi

BRUXELLES. La lunga notte di trattative tra i leader dei 27 al vertice sulle nomine Ue a Bruxelles inizia con un punto fermo: fare di tutto per coinvolgere l’Italia e Giorgia Meloni. Il punto pero. è che c’è da ricucire lo strappo franco-tedesco con l’accordo fatto senza l’Italia sul pacchetto von der Leyen-Costa-Kallas per i top jobs. Ma i 398 voti del patto tra Ppe, Pse e Liberali potrebbero non bastare alla prova dei franchi tiratori.

PASSATI EMENDAMENTI PROPOSTI DALL'ITALIA. Per questo in serata fonti Ue dicono che «Meloni è costruttiva, ha proposto alcune modifiche che sono state accolte». Nonostante la contrarietà espressa dalla presidente del Consiglio per l’accordo sulle nomine raggiunto tra Ppe, socialisti e liberali, l’idea - spiega una seconda fonte - è quella di coinvolgere comunque la premier italiana, visto che l’Italia è uno degli Stati membri più importanti.

I POPOLARI MEDIANO CON L'ITALIA. A mediare sono i Popolari che vogliono ricucire con la premier italiana Meloni, leader dei conservatori dell’Ecr, perché temono che von der Leyen affondi al voto in Parlamento sotto il peso dei franchi tiratori. Il primo a offrire la sponda alla premier è il presidente del Ppe, Manfred Weber: «L’Italia è un Paese del G7, leader nell’Ue» e i suoi «interessi», è stato il monito, vanno presi in considerazione.

LA SPONDA DI TAJANI. Negando che sia stata esclusa dai negoziati, ma parlando di «un malinteso» e di ragioni «politiche» e matematiche di maggioranza, il Ppe con il premier polacco Donald Tusk assicura che «non c’è Europa senza Italia» e che nessuna decisione può essere presa senza la premier. Una linea ribadita anche dal vicepremier Antonio Tajani che - impegnato a fare da sponda a Meloni per «un vicepresidente e un portafoglio di rilievo» nella Commissione europea - ha messo più volte in luce le «convergenze» tra il suo Ppe e l’Ecr della premier su più fronti - dall’Ucraina alla lotta alla migrazione clandestina. Tornando a invocare un dialogo tra le due famiglie utile a dare nuova forma all’Europa e a spostare il baricentro della futura maggioranza.

L'ECR RISCHIA DI PERDERE I POLACCHI DEL PIS. Attenzione però, perché il gruppo di Ecr potrebbe perdere il sostegno degli alleati polacchi del Pis, pronti a lasciare per un nuovo gruppo di destra al Parlamento di Strasburgo, dove i gruppi di destra rischiano di essere addirittura tre. Cosa che, se accadesse, indebolirebbe la strategia negoziale di Meloni. La presidente del Consiglio italiana non vuole cedere all’intesa fatta al «caminetto» franco-tedesco e valuta un’astensione senza precedenti, ma deve fare i conti con il rischio d’isolamento dell’Italia. La sfida è con la Francia sulle deleghe di una vicepresidenza economica di peso per Raffaele Fitto.

IL NO DEI SOCIALISTI.  Se il Ppe punta a coinvolgere Meloni, i socialisti restano fermi sulla loro linea rossa: «Nessuna collaborazione con Ecr» e «l’estrema destra», ribadiscono riunendosi a porte chiuse prima dell’avvio del summit e lasciando parlare il capo negoziatore, il cancelliere tedesco Olaf Scholz.

IL MURO DI SHLEIN. Secco il no anche della leader del Pd, Elly Schlein, a ribadire il muro a «qualsiasi tipo di alleanza con l’Ecr di Giorgia Meloni e con Id di Marine Le Pen e Matteo Salvini». L’unica via per allargare la maggioranza, spiega la leader dem, è rivolgersi ad «altre famiglie democratiche come i Verdi».

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