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La riflessione

Senza un tetto né voce. La città che non ha visto

Hanno scoperchiato una realtà che spesso si preferisce ignorare: l’abisso della povertà estrema

Donna e bimba morte a Villa Pamphili sono madre e figlia: Dna conferma

Non avevano più nulla, nemmeno un rifugio, una casa, una rete di protezione, forse anche la speranza. Quando le autorità hanno trovato i corpi di una donna e di sua figlia tra i cespugli di Villa Doria Pamphilj, non hanno scoperto solo due vite spezzate. Hanno scoperchiato una realtà che spesso si preferisce ignorare: l’abisso della povertà estrema, della solitudine, dell’abbandono. Un abisso che può inghiottire chiunque, in silenzio, mentre il mondo va avanti distratto. Quella madre aveva scelto un angolo nascosto della villa per proteggere la sua bambina dalle intemperie, dall’umiliazione, forse dagli occhi degli altri.

Non un tetto, non una mano. Così, mentre i viali alberati accoglievano i passi leggeri dei jogger e il vociare allegro dei bambini, due persone morivano in silenzio, invisibili, come se la loro esistenza fosse fuori dal perimetro della città. Non si può rimanere indifferenti. Il dramma di questa madre e di sua figlia non è un caso isolato, ma l’emblema di un sistema che spesse volte sceglie di non vedere. Dietro ogni senzatetto c’è una storia: di lavoro perso, di violenza subita, di malattia, di fuga. Troppo spesso, dietro ogni storia, c’è un’assenza di risposte concrete da parte di chi avrebbe il dovere di offrire una via d’uscita. “Non ci sia concesso l’alibi dell’indifferenza”, ha detto il cardinale Reina.

Parole che colpiscono come un pugno. Perché non basta più la compassione estemporanea, non bastano i fiori o i comunicati. Serve un’assunzione collettiva di responsabilità. Serve cambiare sguardo. Non si tratta solo di emergenza abitativa, ma di giustizia di dignità, di umanità. Cosa vuol dire vivere senza niente? Senza un letto, senza un bagno, senza sicurezza? Per quella madre, ogni giorno era una lotta per dare un po’ di calore e protezione alla propria figlia.

Eppure è stata lasciata sola, l’abbiamo lasciata sola. Ora che non possono più parlare, sta a noi dare voce alla loro storia. Sta a noi trasformare il dolore in impegno, l’indignazione in cambiamento. Perché nessuno, in nessuna città, dovrebbe mai più morire così: senza un nome, senza una casa, senza qualcuno che se ne accorga. Non avevano più nulla. Nemmeno un rifugio. Ma non lasciamo che anche la nostra coscienza sia senza riparo.

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