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La riflessione

La Costituzione, la Polizia Giudiziaria e il caso Garlasco

Talvolta anche il Governo non sembra proprio lineare

Delitto di Garlasco, indagato l'amico del fratello di Chiara Poggi

Chiara Poggi

La mia pregressa esperienza dottrinale e giurisdizionale (oggi faccio il notaio per scelta succedanea a quella di magistrato) mi induce a non tacere sulla grande confusione che spesso volutamente si fa – anche da parte di addetti ai lavori – nell’esaminare i principi, le riforme e le applicazioni giurisdizionali nonché in materia di esecuzione delle pene. Talvolta anche il Governo non sembra proprio lineare. La materia è vastissima. In questo mio scritto, dettato, soprattutto, dal redivivo “caso Garlasco” (stesso potrebbe dirsi per il caso Liliana Resinovich, per taluni reati a sfondo politico-mafioso, per l’Italicus, per il caso Itavia-Ustica, per il Mig libico abbattuto sulla Sila, per il caso Moro e chi più ne ha ne può mettere), vorrei andare sulla fonte originaria di tutti i problemi che creano una serie di atecnicità, dispersione di forze, sovrapposizione di ruoli e di competenze e/o silenziosi baratti nella fase iniziale di ogni procedimento penale, con compromissioni gravi nelle successive fasi procedimentali, fino alla decisione definitiva della Suprema Corte di Cassazione.

Ossia: dal primo accesso sul luogo del delitto alla coeva raccolta delle prove nell’immediatezza del fatto – storico ed alla conseguente valutazione giuridica delle stesse a mano a mano che la procedura passa dall’originaria istruttoria a quella predibattimentale e dibattimentale. Personalmente ho avuto molte occasioni di confronto professionale ed extraprofessionale ma il mio interlocutore per i 2/3 dei casi non conosceva la norma costituzionale regolatrice della materia, e per 1/3 non aveva mai approfondito la sua portata pratica. Addirittura, nei convegni e nei seminari con cui spesso ci confrontavamo coi colleghi magistrati, la quasi totalità di essi, pur riconoscendo l’importanza dell’art. 109 della Costituzione, lo riteneva “già attuato” con il vigente assetto organizzativo della Polizia Giudiziaria che – come dirò – finisce senza volerlo per essere “serva di almeno due padroni”.

Così spesso la Magistratura nel suo complesso si è battuta per questioni pur importanti ma secondarie rispetto a questo tema (criteri per la nomina dei capi degli Uffici Giudiziari – separazione delle carriere – introduzione di nuove forme di reati minori – abrogazione dell’art. 328 c.p. etc.). Ebbene l’art. 109 della Costituzione testualmente recita “L’Autorità Giudiziaria dispone direttamente della Polizia Giudiziaria”. La chiarezza espositiva della norma non ammette diverse interpretazioni (”in claris non fit interpretatio”). Per di più l’avverbio “direttamente” non è un elemento grammaticale e logico buttato lì per caso; anzi finisce per essere il “fulcro” su cui gira l’intera materia che si vuole anzi “si deve” ancora normare. Appare “ictu oculi” chiaro come la magistratura requirente ed inquirente – almeno nella prima fase della raccolta delle prove – debba avere alle “dirette dipendenze” una “propria” Polizia Giudiziaria.

Come, peraltro, in posizione diametralmente opposta e controbilanciata esiste l’“Apparato della Polizia Penitenziaria” per la fase espiativa della pena irrogata dipendente direttamente dal Ministero della Giustizia. Tanto sotto un profilo logico, organizzativo (art. 97 Cost.), pratico, di appartenenza, di omogeneità professionale e di univocità di comando. Senza considerare la formazione del personale che per tale via si specializza al fianco dell’apparato giurisdizionale con approfondimenti “sul campo” giorno per giorno. Eppure, nonostante la chiarezza organizzatoria, per di più sottoposta e tutelata dalla vigenza ininterrotta dell’art. 109 della Costituzione, norma grandemente illuminata ed illuminante(formulata alla Costituente dall’Onorevole Giovanni Leone), di fatto (con l’implicita acquiescenza della magistratura – cosa “ex multis” che personalmente mi ha indotto all’abbandono della toga ) nel tempo si è stratificata una prassi in base alla quale la Polizia Giudiziaria viene “fornita al giudice” di volta in volta ora dalla Polizia di Stato, ora dall’Arma dei Carabinieri, ora dalla Guardia di Finanza, ora dal Corpo dei Vigili Urbani ora dall’apparato dei Servizi sia civili che militari. Insomma, un dispendio di forze e di energie difficilmente coordinate e coordinabili anche perché ognuna di esse per compiti ed appartenenza risponde gerarchicamente ad un diverso superiore (Ministro dell’Interno, Ministro della Difesa, Ministro delle Finanze, Sindaci) e solo “momentaneamente” al giudice dell’istruttoria.

Così si realizza non solo un “divide et impera” di romana memoria teso a smorzare l’efficacia e l’effettività dell’azione della c.d. Polizia Giudiziaria ma una dualità di comando con una Polizia Giudiziaria “serva di due padroni” con tutte le ricadute (anche se non volute) del caso. In questa complicata ragnatela (ben congegnata dal potere politico per indebolire dall’interno la Magistratura) è molto facile trovare sovrapposizione dei ruoli e sovrapposizione dei comandi (il caso Moro ne è stato l’esempio lampante) e, talvolta, imbarazzo degli agenti e degli ufficiali nel dare preminenza alla pianificazione del corpo di appartenenza o a quella del magistrato inquirente.

Ciò senza tener conto della segretezza delle indagini che travasano da un campo all’altro (gerarchico funzionale amministrativo, l’uno, e giurisdizionale, l’altro) in un’osmosi patologica che proprio l'articolo 109 della Costituzione con previgenza massima voleva evitare. L'’omesso rispetto attuativo della citata norma costituzionale genera una serie di ricadute “a cascata” sia sulla segretezza delle indagini, sia sulla direzione univoca delle stesse, sia sull'appartenenza “equivoca” della Polizia Giudiziaria al potere autonomo della Magistratura. Per tale via come spesso è accaduto ed accade tale potere autonomo risulta compromesso fin dall’origine dall’introduzione di un “corpo” che per strutturazione, funzione e finalità si appartiene a diversi comparti ed, a loro volta, autonomi poteri statuali.

Insomma, nella prima “nascita” del processo, come per la “nascita” di un bambino l'accortezza massima si dovrebbe avere al momento del parto ma nel nostro caso tale “accortezza” difetta nonostante la previsione costituzionale perdurante. Non vorrei ulteriormente stancare il lettore su cento altre sequenzialità negative connesse all’omesso (od improprio) rispetto della norma contenuta nell’art. 109 della Costituzione. Una Polizia Giudiziaria “propria” della Magistratura non consente organizzativamente mini-apparati surrogatori che, comunque, difettano di quella stessa autonomia propria della Magistratura a cui dovrebbero appartenere. Anzi, l'appartenenza a poteri diversi ed estranei alla Magistratura ne complicano (se non ostacolano) l’autonomia di cui quest’ultima è “costituzionalmente dotata” (art.104 Cost.). “De hoc satis” in termini di paradigmi generali. Ora, sulla base di ciò, ciascuno dei lettori ponendo a base tali paradigmi, provi a riesaminare e rivedere tutti i casi più delicati in cui la compromissione di un precetto costituzionale si è rivelata come compromissione stessa dell'attuazione della giustizia nella "fase principale" della ricerca della verità fattuale "ab origine". In questa perversa ragnatela mal distribuita e con criticità e dualità di previsioni, programmazioni ed interventi (senza considerare l'avvicendamento soggettivo di personale scelto con diversi parametri rispetto all'affiancamento di un giudice) si calino, come già detto per il caso Garlasco, le stragi c.d. di Stato impunite, il caso Italicus, il caso Itavia-Ustica, il caso Moro, il caso Borsellino, il caso Falcone, il caso del Mig caduto sulla Sila, il caso Cirillo (che doveva essere liberato a tutti i costi) e tanti, tanti altri casi da inquadrare logicamente e giuridicamente alla luce dell'inattuazione dell'art. 109 della Costituzione.

Facciamoci insieme una domanda (tacendo, peraltro, del contributo dei c.d. servizi segreti in tali stesse vicende che in buona parte neppure gli stessi giudici conoscono o hanno conosciuto) cui daremo, poi, una risposta più riflessiva. Tutti questi molteplici casi irrisolti (o risolti male) avrebbero potuto (e potrebbero in caso di attuazione dell'art. 109 Cost.) quantomeno dimezzarsi (se non di più) utilizzando fin dalle prime indagini un apparato di Polizia Giudiziaria conforme all'art. 109 Cost? Si badi che i casi irrisolti (o risolti male) arrecano alla Giustizia ed ai tanti soggetti innocenti, ingiustamente finiti in carcere, danni irreparabili i cui parametri negativi ricadono, poi, fatalmente sui Giudici anche quando talvolta questi sono stati o ingannati o serviti con superficialità dai loro più stretti collaboratori della Polizia Giudiziaria. Con questo non si vuol certamente dire che gli attuali appartenenti alla Polizia Giudiziaria non siano leali e collaborativi. Anzi.

Il vero problema è che anche essi proprio per essere collaborativi spesso si trovano di fronte a dilemmi complessi dovendo conciliare il loro agire tra diversi apparati di cui fanno parte contemporaneamente e contestualmente. La scelta di fondo è segnata dalla Costituzione. Perchè si fa tanta fatica ad attuarla. Spesso ci ingegniamo a fare dibattiti sull'aria fritta o sul sesso degli Angeli e "referendum" su materie anche importanti ma spesso molto meno importanti di questa su cui insiste il fondamento teorico e pratico della Giustizia. Su tale norma Costituzionale tutti dovremmo fare molto di più per portarla, quantomeno, alla conoscenza generale e svegliare la sensibilità di tutti al riguardo se davvero ci teniamo e vogliamo una giustizia più giusta.

*ex giudice di Corte d’Appello e notaio
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