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La riflessione

La sicurezza dei borghi, nostalgia di “Tundra”

Allo spopolamento si aggiunge il problema vivibilità

La sicurezza dei borghi, nostalgia di “Tundra”

Da tempo non sono più e soltanto le periferie di piccole e grandi città a preoccupare per fenomeni di criminalità e tutte le altre affini criticità. Ora cominciamo a darci più di qualche pensiero anche i borghi, nel mirino di rapine, truffe, estorsioni, raggiri da parte di bande miste, composte da italiani e da elementi di altre nazionalità, in prevalenza dall’Est europeo, riconducibili a particolari aree “territoriali, interregionali vaste e soprattutto attrezzate”.

I raid malavitosi in principio limitati alle campagne, aville, cascinali, masserie, più approssimativi, diciamo pure da cani sciolti, si stanno estendendo al “cuore dei paesi”. Una volta andavano alla ventura, senza una meta precisa, dove si presentava l’occasione più ghiotta. Oggi, invece, si muovono su, in base a piantine di percorsi specifici studiati su dove trovare bottini soddisfacenti, come e quando agire e gli orari più convenienti per potersi meglio muovere e con obiettivi mirati e redditizi. Ad esempio: il palazzo storico non vigilato, ancora provvisto di pezzi pregiati, quadri antichi di valore facilmente poi smerciabili.

Qualche settimana fa ho potuto verificare personalmente questo stato di cose, tornando al mio paese, in Alta Irpinia, dove ho incontrato gente, più che definire sfiduciata, direi contrariata, per come va il mondo sempre più alla malora. Da “aprire gli occhi anche qui”, per usare un vecchio e saggio detto, sempre attuale. Nella notte precedente alla mia venuta, vi era stato sulla direttrice Montemarano-Nusco un duplice assalto: il primo al bancomat di un istituto di credito lungo la strada nazionale, che attraversa parte del paese e, il secondo, poco tempo dopo, a un’altra banca, a pochi chilometri da qui, a Nusco. Una coincidenza non casuale, a conferma di temerarie gang operanti tra l’Irpinia e la Puglia.

Allo spopolamento, tema ormai sempre più vanesio di una “convegnistica” ripetitiva, senza proposte efficaci su cui misurarsi e indicare ai vari livelli istituzionali svolte possibili, si aggiunge il problema vivibilità, mai messo finora in discussione. Al distanziamento di memoria pandemica, deve subentrare una maggiore vicinanza ai bisogni, alla tutela delle comunità, in cui in cima a tutto c’è il benesicurezza. A giugno scorso l’Arma dei carabinieri ha festeggiato i 211° anni della sua fondazione, in quella circostanza è stato molto apprezzato il discorso del Comandante Generale Capo Salvatore Luongo. Il quale ha sottolineato che, in oltre due secoli di cammino, l’istituzione ha portato, “giorno dopo giorno, il proprio contributo alla sicurezza delle comunità, con un modello organizzativo che ha saputo evolversi senza mai perdere la sua essenza più profonda: la vicinanza alla popolazione e ai suoi bisogni“.

A riguardo, opportunamente , ha precisato che oltre 4500 stazioni e tenenze, distribuite sul territorio nazionale, sono molto più che strutture operative: rappresentano il volto umano dello Stato”. Nessuno, che non sia uno spergiuro, può confutare quanto affermato. Però, va anche detto, che molte di queste caserme non sono più “abitate” come una volta da organici, nuclei adeguati alle necessità. Spesso a presidiarle c’è solo il tradizionale piantone, in molti casi sono anche spente le insegne luminose: “Carabinieri”, che servivano a scoraggiare molti malintenzionati. Era inevitabile che gli accresciuti impegni dell’Arma, in missioni all’estero e in tanti altre funzioni formative, avrebbero determinato la riduzione degli organici, già da anni in sofferenza.

È uno scenario che non va drammatizzato ma neanche sottovalutato, che mi ha fatto ricordare con nostalgia e gratitudine i tempi lontani e eroici, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando nel mio paese di montagna orgogliosamente era scritto su un’insegna, alto 820 m. sul livello del mare piovesse o nevicasse, a sera dalla caserma usciva la pattuglia in perlustrazione dei carabinieri a cavallo con il maresciallo in sella a “Tundra”. Una monumentale, indimenticabile cavalla razza irlandese, che, già a vederla, testa alta criniera fluttuante, disponeva la comunità alla buona notte, al riparo da ogni rischio o insidia. “Tundra” conosceva sentieri e rovi e, con un nitrito più lungo, metteva addirittura in guardia la pattuglia da un pericolo.

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