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l'analisi
14 Luglio 2025 - 10:57
Quattro studenti, il capostipite è tal Gianmaria Favaretto da Padova a cui sono seguiti in ordine sparso altri tre, tra centro e nord Italia, hanno fatto "scena muta" all'ultimo esame di maturità. Il ministro Giuseppe Valditara però non si è fatto passare (com'è suo costume) la mosca per il naso e da vero difensore del rigore e della moralità nazionale ha "lanciato"' uno stralo non da poco in occasione dell'ultimo suo intervento pubblico. Le parole del responsabile del dicastero dell'istruzione e del merito sono, tuttavia, sembrate ai più molto ridondanti e troppo risolutive: "Fra le riforme che stiamo per varare c'è anche una riforma della pubblica istruzione. Comportamenti di questo tipo non saranno più possibili. Se un ragazzo non si presenta all'orale o volontariamente decide di non rispondere alle domande dei docenti, non perché non è preparato quello può capitare ma perché vuole "non collaborare" o vuole "boicottare" l'esame, dovrà ripetere l'anno".
Nessuno men che meno il nostro ministro ha valutato l'esatta portata dell'evento tanto stigmatizzato da professori e genitori. Per il rappresentante dell'esecutivo non conta, infatti, la volontà dello studente, della sua famiglia, dei suoi amici, bensì quella della comunità scolastica a cui appartiene, che sia di maniera o sincera e così da oggi in poi ci saranno regole chiare che sanciranno la strada da seguire. Ma a difesa degli emulatori seriali sono scesi in campo vecchi e nuovi progressisti. Ecco, tra le altre, le parole di Daniele Novara, pedagogista piacentino, già intervenuto più volte sull'argomento scuola e su questo in particolare: “Questi giovani non stanno scappando dalle loro responsabilità: stanno denunciando un sistema che troppo spesso li valuta con logiche punitive e classifiche, senza tenere conto della loro crescita reale, del contesto che stanno vivendo, e della necessità di una scuola più dialogica, partecipativa e orientata all’apprendimento, non al voto. Dobbiamo abbandonare il modello di scuola che mette al centro l’autorità e non l’autorevolezza, il controllo invece della crescita. L’esame orale così com’è strutturato rischia di diventare una vetrina dell’ansia più che un momento di reale riflessione e valorizzazione del percorso scolastico. Invito a rimettere al centro della scuola le relazioni, l’ascolto e l’evoluzione degli apprendimenti. Se i ragazzi e le ragazze si ribellano, è perché chiedono una scuola che li aiuti a crescere, non solo a rispondere a domande”.
Ora, il problema non è chi sta fermo e chi va oltre, forse nemmeno se invece di scendere in piazza o lanciare moltov come si usava, con giusto merito o meno, tanto tempo fa gli studenti del terzo millennio si industriano a protestare col silenzio. Forse nemmeno se uno Stato tardivamente prova a mettere un freno al malcostume dilagante. Bensì, cosa vogliamo fare delle prove finali di un percorso scolastico, già svuotato da tempo immemorabile del suo significato formativo e osmotico. Eggià perché quello che la scuola non dà più ai nostri ragazzi non può essere risolto da un numero da 60 a 100 (chi lo contesta ha ragioni da vendere), e se qualcuno sta zitto alla prova orale della maturità è solo la goccia che fa traboccare il vaso, nulla dice (se non addirittura omette) del vaso in sé.
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