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Francia: Macron in crisi. Kiev: fugge l’ex ministro

A Parigi, Berlino e Londra i più bellicosi ma decadenti, politicamente, condottieri di una Europa schierata

Francia: Macron in crisi. Kiev: fugge l’ex ministro

Francia con il fiato sospeso. Non per la sorte del governo, il prossimo, ma per il “blocchiamo tutto” promesso per oggi dall’immensa comunità interpartitica frequentatrice dei social. Cittadini d’ogni ceto e credo politico, o nessuno, subito raggiunti da sindacati e da associazioni varie aggregatesi con entusiasmo. A Parigi il presidente Emmanuel Macron, primus inter pares fra i tre leader dei Volenterosi – con il cancelliere tedesco Friedrich Merz e il premier britannico Keir Starmer – ha visto il suo primo ministro Francois Bayrou esalare l’ultimo respiro da capo dell’esecutivo. Ha assistito al crollo del quarto governo, in appena un anno e mezzo, sia sotto il peso di un debito che sta avvicinandosi al tetto del 115% del Pil e di un deficit balzato a poco meo del 6% del Pil, sia alla prospettiva di tagli preannunciati al welfare e proclamati come indispensabili per circa 45 miliardi di euro.

Questo, mentre alla crisi economica vieppiù avvertita s’aggiunge l’immigrazione illegale per nulla frenata e sempre meno riversabile su Gran Bretagna e Germania. Paesi, quest’ultimi, i cui capi di governo subiscono - in questo stesso periodo e per gli stessi motivi -- una simile frana dei consensi. In Germania l’AfD è balzata oltre il 30% delle intenzioni di voto nell’ex DDR e su base nazionale insidia ormai il primato alla Cdu-Csu; i socialdemocratici sono piombati al di sotto del 10%, con potenziali elettori in fuga verso i neocomunisti Die Linke e la nuova sinistra Bsw di SahraWagenknecht. In Gran Bretagna il partito di destra Reform UK, di Nigel Farage, supera il 32% dei favori mentre i laburisti al governo sono in caduta libera, al 24%, superati persino dall’estrema sinistra, al 26%, dell’immarcescibile Jeremy Corbin.

Insomma, a Parigi, Berlino e Londra i più bellicosi ma decadenti, politicamente, condottieri di una Europa schierata al fianco del capo del regime di Kiev e pronta a presidiare l’Ucraina, a far la guerra alla Federazione russa. Achiacchiere, perché… a condizione di una tregua, che non c’è, e di una copertura Nato che, per quanto da mascherare dietro artifizi semantici circa l’articolo 5, neppure c’è.

In Francia che il presidente nomini un altro premier da nove mesi o da nove settimane e mezzo di durata, importa poco o punto. È di Macron che i francesi vogliono liberarsi. Dalla fine della presidenza di Jacques Chirac nel 2007, c’è stata una sfortunata successione all’Eliseo: da Nicolas Sarkozy, dal 2007 al 2012,  a Francois Hollande, dal 2012-2017,  a Emmanuel Macron, dal 2017 al 2022 e dal 2022 al… (2027).  Tutti personaggi che hanno caratterizzato una riduzione dell’immagine e dello stesso status della Francia. Sarkozy collegato con il disastro della guerra alla Libia di  Muammar Gheddafi proprio quand’era divenuto inoffensivo per l’Occidente e garante dell’unità di un Paese altrimenti caratterizzato da lotte di clan e di mafie pseudopolitiche.

Hollande ricordato più che altro per le sue scorribande in scooter per Parigi e per storie pseudoromantiche. Macron per la crisi economica e identitaria della nazione, per la perdita della Francafrique, per le continue e fallimentari iniziative internazionali. Ha distrutto negli ultimi anni il centrodestra neogollista e il centrosinistra socialista. E ora, a destra, il Rassemblement national, prima forza politica di Francia, supera il 33% delle intenzioni di voto. I neogollisti Republicains di centrodestra ridotti al 10%. Al centrosinistra ‘macroniano’ i sondaggi assegnano ormai uno scarso 15%. A sinistra il blocco di socialisti, post-comunisti e Verdi sfiora il 20%.

All’estrema sinistra, la radicale France Insoumise e alleati, con il 19%. Insomma, un Paese politicamente più che diviso ma nel quale stenta a riformarsi lo schieramento di ‘muro’ contro la destra, che in passato ha permesso alla fin-fine comodi compromessi. Da quando Marine Le Pen ha superato il 41,5 % dei consensi alle presidenziali del 2022, e Jordan Bardella il 32% alle ultime europee, il ‘muro’ rischia di formarsi contro il centrosinistra e la sinistra, con i neogollisti tentati ormai di colmare il solco tra destra sociale e destra liberale e di costruire un “grande centrodestra”, sulla scia italiana ma senza gli scodinzolamenti tra Kiev, Bruxelles e Washington.

Nelle stesse ore nelle quali la Francia affrontava l’ennesima crisi politica, dall’Ucraina si rifugiava in Polonia addirittura l’ex ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba. Scappato in tempo, grazie a una soffiata. Intervistato spesso dai media italiani per il ruolo che ricopriva e anche perché fu di casa, per un certo tempo,in Irpinia. Dimesso, anzi destituito esattamente un anno fa, in una delle ormai continue ‘purghe’ all’interno del regime di Kiev sempre a caccia di oppositori politici, renitenti alla leva obbligatoria, russofoni, cristiani ortodossi d’osservanza aliena, negli ultimi anni pure di minimi dissidenti e di critici della corruzione imperante in uno dei Paesi considerati ancora tra più corrotti al mondo.

“Mai avrei pensato di dover fuggire di notte  come un ladro dal mio Paese – l’amara confessione dell’ex ministro degli Esteri – Il presidente Zelensky non può zittire qualsiasi voce diversa dalla sua”. Ha seguito, Kuleba, il destino di oltre un terzo degli abitanti dell’Ucraina, tra sfollati e riparati all’estero soprattutto nell’Ue e in Russia. Poche righe destinategli  da uno solo dei giornali di quella che fu la “grande stampa” italiana. Fortuna per lui che nel frattempo abbia trovato un posto d’insegnante a Parigi e negli Stati Uniti. Il salario almeno è salvo.

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