Tutte le novità
il punto
10 Settembre 2025 - 08:09
Francia con il fiato sospeso. Non per la sorte del governo, il prossimo, ma per il “blocchiamo tutto” promesso per oggi dall’immensa comunità interpartitica frequentatrice dei social. Cittadini d’ogni ceto e credo politico, o nessuno, subito raggiunti da sindacati e da associazioni varie aggregatesi con entusiasmo. A Parigi il presidente Emmanuel Macron, primus inter pares fra i tre leader dei Volenterosi – con il cancelliere tedesco Friedrich Merz e il premier britannico Keir Starmer – ha visto il suo primo ministro Francois Bayrou esalare l’ultimo respiro da capo dell’esecutivo. Ha assistito al crollo del quarto governo, in appena un anno e mezzo, sia sotto il peso di un debito che sta avvicinandosi al tetto del 115% del Pil e di un deficit balzato a poco meo del 6% del Pil, sia alla prospettiva di tagli preannunciati al welfare e proclamati come indispensabili per circa 45 miliardi di euro.
Questo, mentre alla crisi economica vieppiù avvertita s’aggiunge l’immigrazione illegale per nulla frenata e sempre meno riversabile su Gran Bretagna e Germania. Paesi, quest’ultimi, i cui capi di governo subiscono - in questo stesso periodo e per gli stessi motivi -- una simile frana dei consensi. In Germania l’AfD è balzata oltre il 30% delle intenzioni di voto nell’ex DDR e su base nazionale insidia ormai il primato alla Cdu-Csu; i socialdemocratici sono piombati al di sotto del 10%, con potenziali elettori in fuga verso i neocomunisti Die Linke e la nuova sinistra Bsw di SahraWagenknecht. In Gran Bretagna il partito di destra Reform UK, di Nigel Farage, supera il 32% dei favori mentre i laburisti al governo sono in caduta libera, al 24%, superati persino dall’estrema sinistra, al 26%, dell’immarcescibile Jeremy Corbin.
Insomma, a Parigi, Berlino e Londra i più bellicosi ma decadenti, politicamente, condottieri di una Europa schierata al fianco del capo del regime di Kiev e pronta a presidiare l’Ucraina, a far la guerra alla Federazione russa. Achiacchiere, perché… a condizione di una tregua, che non c’è, e di una copertura Nato che, per quanto da mascherare dietro artifizi semantici circa l’articolo 5, neppure c’è.
In Francia che il presidente nomini un altro premier da nove mesi o da nove settimane e mezzo di durata, importa poco o punto. È di Macron che i francesi vogliono liberarsi. Dalla fine della presidenza di Jacques Chirac nel 2007, c’è stata una sfortunata successione all’Eliseo: da Nicolas Sarkozy, dal 2007 al 2012, a Francois Hollande, dal 2012-2017, a Emmanuel Macron, dal 2017 al 2022 e dal 2022 al… (2027). Tutti personaggi che hanno caratterizzato una riduzione dell’immagine e dello stesso status della Francia. Sarkozy collegato con il disastro della guerra alla Libia di Muammar Gheddafi proprio quand’era divenuto inoffensivo per l’Occidente e garante dell’unità di un Paese altrimenti caratterizzato da lotte di clan e di mafie pseudopolitiche.
Hollande ricordato più che altro per le sue scorribande in scooter per Parigi e per storie pseudoromantiche. Macron per la crisi economica e identitaria della nazione, per la perdita della Francafrique, per le continue e fallimentari iniziative internazionali. Ha distrutto negli ultimi anni il centrodestra neogollista e il centrosinistra socialista. E ora, a destra, il Rassemblement national, prima forza politica di Francia, supera il 33% delle intenzioni di voto. I neogollisti Republicains di centrodestra ridotti al 10%. Al centrosinistra ‘macroniano’ i sondaggi assegnano ormai uno scarso 15%. A sinistra il blocco di socialisti, post-comunisti e Verdi sfiora il 20%.
All’estrema sinistra, la radicale France Insoumise e alleati, con il 19%. Insomma, un Paese politicamente più che diviso ma nel quale stenta a riformarsi lo schieramento di ‘muro’ contro la destra, che in passato ha permesso alla fin-fine comodi compromessi. Da quando Marine Le Pen ha superato il 41,5 % dei consensi alle presidenziali del 2022, e Jordan Bardella il 32% alle ultime europee, il ‘muro’ rischia di formarsi contro il centrosinistra e la sinistra, con i neogollisti tentati ormai di colmare il solco tra destra sociale e destra liberale e di costruire un “grande centrodestra”, sulla scia italiana ma senza gli scodinzolamenti tra Kiev, Bruxelles e Washington.
Nelle stesse ore nelle quali la Francia affrontava l’ennesima crisi politica, dall’Ucraina si rifugiava in Polonia addirittura l’ex ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba. Scappato in tempo, grazie a una soffiata. Intervistato spesso dai media italiani per il ruolo che ricopriva e anche perché fu di casa, per un certo tempo,in Irpinia. Dimesso, anzi destituito esattamente un anno fa, in una delle ormai continue ‘purghe’ all’interno del regime di Kiev sempre a caccia di oppositori politici, renitenti alla leva obbligatoria, russofoni, cristiani ortodossi d’osservanza aliena, negli ultimi anni pure di minimi dissidenti e di critici della corruzione imperante in uno dei Paesi considerati ancora tra più corrotti al mondo.
“Mai avrei pensato di dover fuggire di notte come un ladro dal mio Paese – l’amara confessione dell’ex ministro degli Esteri – Il presidente Zelensky non può zittire qualsiasi voce diversa dalla sua”. Ha seguito, Kuleba, il destino di oltre un terzo degli abitanti dell’Ucraina, tra sfollati e riparati all’estero soprattutto nell’Ue e in Russia. Poche righe destinategli da uno solo dei giornali di quella che fu la “grande stampa” italiana. Fortuna per lui che nel frattempo abbia trovato un posto d’insegnante a Parigi e negli Stati Uniti. Il salario almeno è salvo.
Copyright @ - Nuovo Giornale Roma Società Cooperativa - Corso Garibaldi, 32 - Napoli - 80142 - Partita Iva 07406411210 - La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo - Il giornale aderisce alla FILE (Federazione Italiana Liberi Editori) e all'IAP (Istituto di autodisciplina pubblicitaria) Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo giornale può essere riprodotta con alcun mezzo e/o diffusa in alcun modo e a qualsiasi titolo