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11 Settembre 2025 - 10:22
I fatti della scorsa settimana e l’attenzione che l’opinione pubblica ha mostrato in relazione alla scoperta che alcuni siti o profili social pubblicavano, ad insaputa delle persone interessate, fotografie intime corredate da commenti violenti, volgari e comunque gravemente sessisti, offrono l’opportunità di esaminare i reati che possono essere commessi in via informatica.
È probabile, infatti, che non solo le ignare vittime, che sempre più numerose stanno denunciando, ma persino chi ha avuto semplice accesso a quei siti o a quei profili social, ignori o forse sottovaluti che pubblicare fotografie, video reali o modificati con software manipolativi, può integrare diversi illeciti.
In primo luogo è opportuno precisare che il codice penale, all’articolo 612-ter, prevede e punisce il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (il cd. revenge porn) con la reclusione da uno a sei anni. In particolare, la norma si applica sia nei confronti di chi, dopo aver realizzato i contenuti destinati a rimanere privati, provveda a divulgarli senza il consenso del soggetto interessato sia nei confronti di quei soggetti che, dopo averli ricevuti, provvedono alla loro diffusione illecitamente. È importante sottolineare che secondo l’interpretazione della Cassazione anche fotografie o video in biancheria intima possono integrare il reato, nulla rilevando la circostanza che la vittima, in precedenza, aveva eventualmente pubblicato i contenuti intimi.Altra tipologia di violazione riguarda il trattamento illecito dei dati personali.
L’articolo 167 del Codice della privacy, infatti, punisce il trattamento illecito di dati personali cosiddetti particolari, come quelli sessuali, che causano un danno alla vittima. Per questo tipo di reato è prevista la pena della reclusione da uno a tre anni nei casi di diffusione di dati relativi alla vita sessuale o all’orientamento sessuale. Ancora, nel nostro ordinamento è previsto e punito anche il reato di interferenze illecite nella vita privata, con la previsione della pena della reclusione da sei mesi a quattro anni per chiunque registri un video o scatti delle fotografie attinenti alla vita privata a insaputa delle persone coinvolte. In relazione ai commenti violenti, sessisti e, in generale, offensivi pubblicati, può ipotizzarsi il reato di diffamazione aggravata, punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Importante evidenziare, a tale proposito, che una parte della giurisprudenza ritiene che possa contestarsi tale reato anche nei confronti di coloro che mostrano “sostegno” ad un contenuto offensivo pubblicato da altri, ad esempio attraverso un generico “mi piace” come spesso si usa nei social. Interessanti, in tema, appaiono due recenti sentenze della Cassazione penale. Con una prima decisione, i giudici di legittimità hanno affermato che “il delitto di cui all'art. 612-ter cod. pen., cd. di revenge porn, è integrato anche nell'ipotesi in cui la persona offesa non sia riconoscibile dalle parti intime oggetto di illecita diffusione né da ulteriori elementi.
La norma incriminatrice tutela, infatti, le vittime dalla diffusione di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privali, che avvenga senza il consenso delle persone rappresentate, e non richiede anche che esse siano riconoscibili. Invero, il delitto in esame è collocato nell'ambito di quelli posti a tutela della libertà morale individuale ed è diretto alla protezione della sfera di intimità e della privacy, intesa quale diritto a controllare l'esposizione del proprio corpo e della propria sessualità, in un'ottica di autodeterminazione della sfera sessuale individuale che deve ricevere una protezione assoluta, ossia che prescinda dalla concreta riconoscibilità da parte dei destinatari del video o delle immagini a contenuto sessualmente esplicito della persona le cui parti intime siano rappresentate perché, anche ove ciò non avvenga, si realizza la violazione del bene protetto” (Cassazione n. 11743 del 2025).
In una decisione ancora più recente hanno sottolineato, a proposito di chi aveva illegittimamente estratto delle immagini dal sito “OnlyFans” per renderle pubbliche, che il consenso dato alla visione di un contenuto su una piattaforma chiusa è limitato e circoscritto a quella specifica comunità virtuale, con la conseguenza che estrarre quel materiale e diffonderlo all’esterno, senza un nuovo e specifico permesso, integra a tutti gli effetti il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti e va sanzionato penalmente (Cassazione 25516 del 2025). Appare dunque evidente che la tutela della privacy e l’autodeterminazione della propria sfera sessuale siano valori che, soprattutto in epoca di social media, debbano sempre trovare adeguata tutela e protezione.
*Avvocato Consulente giuridico Ordine dei Giornalisti della Campania
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