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26 Ottobre 2025 - 09:43
Trump e Putin
Siamo a un passo dalla svolta. La svolta per un compromesso, che le belle parole della diplomazia chiameranno - a seconda dei momenti e delle occasioni e delle convenienze – cessate il fuoco, o tregua, o pace. Vladimir Putin spiazza i soliti europei Volenterosi ma per la guerra e apre al piano di Donald Trump. Dopo l’errore strategico rappresentato dal tentativo maldestro di occupare parte dell’Ucraina con pianificazione e tattica militare a dir poco cervellotiche, forze e armamenti palesemente insufficienti, il capo del Cremlino rimedia, per fortuna nel giro di qualche giorno, a un secondo errore potenzialmente strategico.
Si stava prospettando nefasto per la Federazione non aver fatto da sponda a Donald Trump, il quale l’aveva invitato a intavolare un negoziato che si sviluppasse in senso ‘risolutivo’.
Trattative che partissero - attraverso una pausa dei combattimenti – dall’attuale linea ’congelata’ del fronte. Il leader statunitense ha spostato il mirino su Cina e India: basta ai super-acquisti di energia russa. E le ha indotte a premere su Mosca. Il sistema finanziario internazionale è ancora nelle mani di Washington, i dazi avrebbero provocato ingenti danni e sicure tensioni sociali interne. E “per una stupida guerra europea” – come la definisce non a torto il presidente americano – sia Pechino, sia New Delhi non possono permettersi di mettere a repentaglio gli obiettivi, prossimi e meno prossimi, che si prefiggono. La Cina di divenire la massima potenza economica tra il 2030 e il 2035, a coronamento del secondo piano quinquennale. L’India di aprirsi alla modernità compiutamente, superando retrive stratificazioni sociali, religiose e culturali, sfruttando appieno le proprie capacità produttive, commerciali e di sviluppo tecnologico.
Il rifiuto iniziale del leader del Cremlino e della sua cerchia di potere si spiegava con il timore dell’ennesimo ‘gioco sporco’ dell’Occidente. Nelle stesse ore nelle quali Trump chiedeva a Putin di aprirsi al dialogo, nelle capitali dei maggiori Paesi europei – la prudenza di Roma faceva eccezione – si faceva a gara nel sollecitare a destra e a manca sia riconversioni al riarmo di fabbriche destinate finora all’automotive, sia acquisti di armi Usa (contenta la Casa Bianca): produzioni nazionali e americane da far confluire alle forze armate ucraine. Decimate vieppiù dal fuoco nemico e dalle diserzioni. Ma il Cremlino aveva sottovalutato il rifiuto del capo della Casa Bianca a fornire i missili Tamahawk richiesti dal regime di Kiev. E forse non aveva previsto la subitanea reazione di Pechino e New Delhi. Hanno avuto, quindi, successo le pressioni giunte sia dall’India, peraltro storica cliente anche dell’industria russa degli armamenti, sia dalla Cina ansiosa di smussare gli angoli del rapporto con gli Stati Uniti per proseguire la marcia soft verso il primato.
Una spinta, per quanto minore, s’è aggiunta con la prospettiva che gran parte degli asset russi depositati in Europa e in America possano servire non solo alla futura ricostruzione dell’Ucraina, ma già adesso per pagare le forniture militari richieste da Kiev. Mosca sostenne circa tre anni fa che le somme bloccate dall’Ue si aggirassero tra i 300 e i 350 miliardi di dollari. La Banca centrale russa pare avesse pure specificato che i depositi fossero costituiti da 207 miliardi di euro, 67 miliardi di dollari Usa, sterline inglesi per un valore di 37 miliardi di dollari Usa, yen giapponesi per 36 miliardi di dollari Usa, dollari canadesi per 19 miliardi di dollari Usa, dollari australiani per 6 miliardi di dollari Usa, dollari di Singapore per 1 miliardo e 800mila dollari Usa e franchi svizzeri per 1 miliardo di dollari Usa. Il presidente russo ha inviato a Washington, forse non a caso, Kirill Dmitriev, direttore del Fondo russo per gli investimenti diretti. Il compito: sì alle trattative, salvare i depositi russi e promuovere grandi affari.
Si potrebbe concludere, per il momento, che l’inviato di Putin a Washington, alla pre-vigilia del summit Trump-Xi Jinping a Seul rappresenti una risposta all’insegna della ragionevolezza. Prefigura un vertice a tre, di persona o da remoto. Quasi Putin avesse avvertito pure la delusione dei tanti che in Occidente sono coscienti delle ragioni del Cremlino per una Nato giunta ad “abbaiare all’uscio della Russia”. Resta, tuttavia, che in questa partita giocata sull’onda agitata degli equilibri internazionali ogni previsione contiene una dose d’azzardo.
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