Speciale elezioni
lettera al direttore
08 Novembre 2025 - 11:12
Sigfrido Ranucci
Sono allibita e mortificata dall’ostinazione con cui Sigfrido Ranucci continua a sostenere che fosse “fondamentale”, per il diritto di cronaca, mandare in onda la mia voce. Per l’informazione pubblica, poteva essere di interesse la notizia, non certo la mia sofferenza. Invece “Report” ha scelto di “offrire” al pubblico il dolore di un momento intimo e privato, che nulla aggiungeva.
Le dichiarazioni di Ranucci, le sue esternazioni, peraltro continue e su ogni mezzo di informazione, non fanno altro che aggiungere umiliazione ad umiliazione, perché continua ad affermare che era legittimo esporre il mio dramma con la mia voce e insinuando che il provvedimento del Garante della Privacy sia frutto di pressioni, favoritismi o peggio.
Comprendo la sua necessità di difendersi in quanto lo scorso febbraio la Procura di Roma gli ha inviato un avviso di garanzia per il reato previsto dall’art. 615 bis comma 2 (interferenze illecite nella vita privata), quale autore del servizio giornalistico andato in onda l’8 dicembre scorso durante la trasmissione televisiva “Repor”. Peraltro, mi chiedo se e quando Ranucci abbia comunicato alla Rai di essere indagato.
Inoltre, Ranucci sapeva - già dal 14 aprile scorso - di essere sottoposto ad indagine del Garante della Privacy per effetto della mia segnalazione e che rischiava la sanzione. Quello che non capisco è perché Ranucci abbia deciso di iniziare un’inchiesta sul Garante della Privacy utilizzando la sua trasmissione, i mezzi e gli strumenti della Rai (ente pubblico) per difendere se stesso, in aperto conflitto di interessi poiché coinvolto in prima persona e peraltro senza dar conto al pubblico di “Report”della sostanza della sua condotta.
E la Rai, se avesse saputo che Ranucci era indagato, non avrebbe dovuto consentirglielo.
Ranucci non poteva e non doveva difendersi utilizzando la Rai, continuando a rimarcare la mia pubblica mortificazione e avanzando anche indirettamente su di me sospetti di favoritismo.
Ci sono prove che Ranucci ha contattato direttamente colei che aveva abusivamente registrato l’audio, audio che era già stato offerto ad altri giornalisti e testate che ne avevano rifiutato la diffusione per etica, rispetto della deontologia e della legge, in quanto carpito illegalmente. E risulta perfino che chi ha registrato era consapevole della illiceità (“non è legale”) della registrazione.
Illiceità nota anche Ranucci perché era ben spiegato nella diffida inviata prima della messa in onda della trasmissione. Diffida in cui chiedevo di non mandare in onda la mia voce, ma che non impediva di dare in altro modo la notizia.
Inorridisco nel leggere - negli atti del procedimento - i messaggi tra Ranucci e chi oggi è imputato di stalking aggravato: con lei parla di “imbastire il nostro lavoro”; è incredibile la solidarietà che le esprime.
Visti i sistemi fin qui utilizzati da “Report” e Ranucci, mi aspetto che proporranno al pubblico anche un’inchiesta sulla mia persona, per screditarmi e ridurmi al silenzio con sospetti, pedinamenti, audio, mail e chissà cos’altro.
Tutti possiamo sbagliare, anche in buona fede, ma “Report” ha compiuto un atto di violenza contro di me e doveva riconoscerlo, senza nascondersi dietro il servizio pubblico.
Da dipendente e giornalista Rai sono sempre stata profondamente aziendalista, non traggo alcun vantaggio né soddisfazione dal sapere che - per le condotte che ho subito - l’azienda sia stata sanzionata per 150mila euro.
Il Garante della Privacy ha stabilito quella cifra, ma anche un solo euro sarebbe bastato: ciò che conta per me - e per tutti coloro che potrebbero subire ciò che io ho subito da “Report” - è il principio del rispetto della dignità e della privacy di ogni persona, di ogni donna.
Continuerò a tutelare la mia dignità e i miei diritti nelle sedi competenti confidando nelle istituzioni, nella Legge e nel rispetto della deontologia professionale e del codice etico Rai.
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