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l'analisi
20 Dicembre 2025 - 09:53
Donald Trump e Vladimir Putin
In un mondo attraversato da conflitti che invece di spegnersi sembrano moltiplicarsi, la domanda su chi voglia davvero la pace diventa sempre più urgente, e le recenti dichiarazioni di Trump lo confermano con chiarezza brutale. Le popolazioni colpite continuano a invocare la fine delle ostilità mentre nei palazzi del potere la pace appare spesso come un risultato negoziabile, uno strumento per ridefinire equilibri e interessi nazionali più che per restituire sicurezza e dignità a chi subisce la guerra. Le uscite di Trump su Ucraina e Medio Oriente, presentate come soluzioni rapide e pragmatiche, mettono in scena una visione della pace che privilegia la forza della trattativa rispetto alla giustizia del compromesso.
Si promette di chiudere i conflitti con un colpo di mano diplomatico, ma il rischio è che tali accordi si traducano in concessioni territoriali o nella marginalizzazione di attori che chiedono garanzie profonde e non semplici tregue. Anche sul fronte di Gaza, l’idea di una roadmap costruita più per ridisegnare sfere d’influenza che per affrontare le radici del conflitto rivela come la parola “pace” possa essere piegata alle necessità della politica interna e alla costruzione di leadership personali. Questo schema non è nuovo: in più di un teatro di crisi, gli accordi rapidi hanno lasciato irrisolti i nodi strutturali mentre gli interessi economici e geopolitici trovavano nuovi spazi per prosperare.
Le dichiarazioni di Trump non fanno che amplificare una verità che molti fingono di ignorare: la pace dei potenti raramente coincide con la pace dei popoli. L’idea di stabilità che viene proposta dall’alto è spesso funzionale a ridefinire alleanze, contenere rivali, ottenere concessioni strategiche. La pace, quando è trattata come una valuta politica, diventa fragile, intermittente, reversibile. Eppure è proprio questa distanza a spiegare perché i conflitti sembrano interminabili: la pace che serve davvero, quella che nasce da giustizia, sicurezza condivisa, ricostruzione trasparente e inclusione delle comunità locali, è la meno conveniente per chi trae vantaggio dal disordine.
Finché la pace resterà un affare per pochi e non una priorità collettiva, continuerà a essere evocata come promessa e usata come strumento. Il giorno in cui sarà sottratta agli interessi e restituita alle persone, non sarà più un orizzonte sfocato ma un progetto concreto. E finalmente reale.
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