NAPOLI. Una crisi può anche produrre buone idee, a patto di scorciarsi le maniche e non nascondersi; neanche dietro a una maschera, anzi, una mascherina. Alessandro Moccia (nella foto), 42 anni, nel mondo del tessile fin da ragazzo, dal 2001 amministratore della “Em.Cr.”, azienda che a San Gennaro Vesuviano produce con il marchio Irge biancheria per la casa - «grazie a mia moglie, brava ed esperta del settore, in pochi anni abbiamo costruito il nostro successo, se penso a quanto abbiamo fatto ancora mi commuovo» - ha deciso di cambiare orizzonte, almeno per ora.

Moccia, come le è venuta l’idea di riconvertire la sua azienda per produrre mascherine?

«Produciamo dal 2001 biancheria per la casa ma anche articoli sanitari come traverse, lenzuola e trapunte. L’attività è ferma dagli inizi di marzo, ma in deposito ci sono rimasti i tessuti per uso sanitario e adeguati alle norme e così da una decina di giorni produciamo mascherine per uso igienico attenendoci all’articolo 16 del decreto del 17 marzo scorso. E sottolineo uso igienico perché non sono mascherine chirurgiche».

Lo stesso decreto che ha autorizzato l’iniziativa?

«Ci siamo appellati al decreto in questione per la deroga. E comunque noi ci occupiamo di produzione e non di commercializzazione, quindi possiamo operare».

La riconversione le ha permesso di richiamare al lavoro i dipendenti?

«Non tutti, solo una decina. Abbiamo una trentina di dipendenti oltre a quelli dell’indotto, richiamarli tutti non era possibile. È un periodo di crisi e noi abbiamo ottenuto come aiuto solo la cassa integrazione per i dipendenti. A chi supera i 2 milioni di fatturato, infatti, non spetta alcuna facilitazione, ad esempio il rinvio delle scadenze fiscali. Comunque noi abbiamo sempre cercato di instaurare un buon rapporto con i dipendenti, vogliamo che l’azienda sia la loro famiglia, anche perché non siamo persone attaccate solo al denaro».

Ha già avuto riscontri dalla nuova produzione?

«Sta andando bene, fortunatamente alcuni esercizi che hanno abitualmente i nostri prodotti, possono restare aperti per vendere materiale igienico o alimentari o articoli a lunga conservazione, ed è a loro che stiamo consegnando le mascherine».

Dica la verità, sta scoprendo un mercato difficile?

«È vero, e ci sono anche brutti casi di sciacallaggio. Ad esempio sono in giro mascherine spacciate per regolari e che invece non hanno le caratteristiche giuste».

Si discute molto della Fase 2, è pronto eventualmente a ripartire?

«Nel caso, riprendere non sarà un problema, basterà al massimo una settimana, il problema sarà poi a chi vendere, perché i dettaglianti ai quali vendiamo i nostri prodotti sono tuttora chiusi e non so in quanti riapriranno».

Perché si mostra pessimista?

«Perché se continua così, se lo Stato non mette mano alla tasca, dopo le morti per il virus avremo quelle di molte partite Iva, temo che salteranno numerose attività».

Tornare alla normalità non sarà dunque tanto facile?

«Se parliamo dell’attività com’era prima della crisi, ci vorranno almeno 6 o 7 mesi. Ad esempio noi forniamo punti vendita all’ingrosso, grandi aziende, grossi bazar, parliamo di dieci-quindici esercizi che sono chiusi e spesso non possono onorare tutte le scadenze, non solo con noi. È un momento difficile per tutti, è fermo un intero ingranaggio».

Quando accadrà, pensa che abbandonerà la produzione delle mascherine?

«Innanzitutto spero che presto tutti noi potremo toglierci le mascherine. Comunque la mia azienda oggi affronta la riconversione con pochi dipendenti e pochi macchinari: quando riprenderemo la nostra produzione, non credo che abbandoneremo quella delle mascherine, ma sicuramente ne produrremo non più della metà di adesso».