Cerca

I soldi per salvare il Monte dei Paschi? Sono quelli del vecchio Banco di Napoli

I soldi per salvare il Monte dei Paschi? Sono quelli del vecchio Banco di Napoli

Più di 450 milioni dalla Sga, la bad bank rilevò i crediti dell'istituto più importante del Sud. Ma un ricorso della Fondazione partenopea potrebbe bloccare tutto. Il giurista Fimmanò: quei soldi ci devono essere restituiti

NAPOLI. Il Governo vuole salvare il Monte dei Paschi di Siena con i soldi del Banco di Napoli. La Sga, la società del Tesoro che negli anni ’90 aveva rilevato i crediti deteriorati del Banco di Napoli, ben 750 milioni di euro, è, infatti, il principale attore della costituzione di “Atlante 2”, la nuova Sgr che sarà interamente dedicata alle sofferenze bancarie, e che dovrebbe arrivare a una dotazione da 3-3,5 miliardi, ma che in questo momento ha il compito di salvare il Mps. 
Il nuovo fondo potrà contare su ben 450 milioni presi dalla Sga. Per ora la quota più alta in assoluto. Oltre ai 450 milioni della Sga al momento si annoverano le disponibilità di Generali, fino a 200 milioni e UnipolSai (per 100 milioni) e Poste Vita che dovrebbe però investire una quota inferiore ai 260 milioni già versati ad Atlante. Lo stesso vale per Cassa depositi e prestiti. L'intervento questa volta potrebbe fermarsi anche a meno della metà del primo investimento (quindi 200-250 milioni al massimo) anche per non superare la soglia di “allerta” sempre sugli aiuti di Stato vista la partecipazione anche della società del Tesoro (sempre pubblica).

SOLDI NAPOLETANI. Ma perché quei soldi sono del Banco di Napoli? Di questo è convinto Francesco Fimmanò (nella foto), giurista e consigliere della Fondazione Banconapoli, che potrebbe chiedere un maxirisarcimento alla “bad bank”. Per capire perché bisogna fare una piccola ricostruzione di come e perché sia nata questa società. Nel 1996, il presidente del Consiglio era Romano Prodi, il ministro dell’Economia Azeglio Ciampi, Bankitalia (di cui lo stesso Ciampi fu governatore) inviò delle ispezioni a Napoli. Gli ispettori individuarono delle sofferenze per crediti che non erano stati riscossi. Si decretò, così, la morte della più grande banca del Sud (il cui brand è finito poi a Banca Intesa). Ma quei crediti non riscossi, avevano decretato davvero la fine del Banco di Napoli? Per come sono andate la cose il sospetto che non sia così è più di uno. Cosa fece il Governo? Fu creata una bad bank, la Sga appunto, una banca cattiva letteralmente, una società creata ad hoc per recuperare quei crediti che parevano quasi inesigibili. E cosa succede? Il “miracolo”, i crediti, ad uno ad uno cominciano ad entrare in cassa. E la Sga diventa la gallina dalle uova d’oro. Visti i risultati, quasi viene da pensare che il fallimento del Banco di Napoli sia stato solo virtuale, con un risultato drammatico per l’economia meridionale (la perdita di una banca) e un risultato eccezionale per quella settentrionale (la conquista di un grande brand bancario). 

IL RICORSO. Di questo è convinto Fimmanò che ha preparato già un ricorso per richiedere quei crediti alla Sga, perché quei soldi tornino a Napoli nelle casse della Fondazione del Banco di Napoli. Ma i ritardi arrivano proprio dal Cda della Fondazione. Fimmanò ha inviato al presidente della Fondazione Daniele Marrama, la richiesta per una “convocazione urgente del Consiglio generale per l’assunzione degli opportuni provvedimenti a tutela/risarcimento delle ragioni della Fondazione Istituto Banco di Napoli” nel caso del fallimento del Banco di Napoli. Ma dal 16 maggio scorso questa richiesta giace senza risposta in qualche cassetto. Non si capisce per quale motivo. Intanto, la richiesta risarcitoria potrebbe avere effetti proprio su Atlante 2.

IL LIBRO. «Quasi 6 miliardi di euro di crediti “cattivi” recuperati e restituiti allo Stato. Cinquecento milioni di euro di utili in cassa più altri 200 milioni previsti in arrivo dalle 4000 pratiche ancora inevase, su un totale di 37 mila posizioni classificate vent’anni fa come “sofferenze” e “incagli”. Sono i numeri della Sga, la società con sede a Napoli nata come bad bank del vecchio Banco di Napoli, tracollato nel 1996 e venduto a gennaio del 1997 con un’asta pubblica promossa dal Tesoro. Una incredibile performance, un caso unico in Europa, raccontato nel libro di Mariarosaria Marchesano edito da goWare: Miracolo Bad Bank. La vera storia della Sga a 20 anni dal crac del Banco di Napoli. La Sga è ora passata sotto il controllo del Mef, il ministero dell’economia e delle finanze guidato da Pier Carlo Padoan, che punta a proiettare la società nell’orbita del sistema Quaestio-Atlante. Per il governo Renzi, infatti, la Sga rappresenta una cassaforte con la liquidità necessaria per rafforzare il piano salva-banche, Unione europea permettendo. Così, una modifica di statuto permetterà all’ormai ex bad bank di acquisire sul mercato crediti in sofferenza di altri istituti in difficoltà. Si tratta di un epilogo quanto mai inatteso per un crac, chiacchierato e imponente, come quello del Banco di Napoli, tra i maggiori dissesti bancari in Europa dal dopoguerra insieme con il Credit Lyonnais. Ma quanti crediti cosiddetti non perfoming potrà acquistare la Sga con il suo tesoro? Fino a 10-12 miliardi di euro rivela il libro dal quale emerge una ricostruzione dettagliata di un “cold case” della finanza italiana con fatti e numeri inediti, retroscena e testimonianze di chi ha partecipato all’operazione.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Roma

Caratteri rimanenti: 400

Logo Federazione Italiana Liberi Editori