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22 Gennaio 2023 - 09:18
L’economista: assicurare continuità alle misure contro il caro energia a favore di famiglie e imprese, bollette e inflazione porteranno il Pil in Campania a -0,5%
NAPOLI. Lo shock energetico e la comparsa di nuove emergenze sociali dovute agli effetti dell’inflazione rischiano di provocare da 500mila a 600mila nuovi poveri solo nel Sud. E la Campania è la regione più esposta, con un tasso di disoccupazione già elevato e una qualità dei servizi più modesta. Ad affermarlo è l’economista Adriano Giannola (nella foto), presidente della Svimez, che restituisce centralità alla questione meridionale.
Professore, qual è il rischio più grande che stiamo correndo?
«Il nuovo shock energetico sta cambiando il segno delle dinamiche, interrompendo il pur lento percorso di ripresa nazionale. Svimez valuta che a causa dei rincari dei beni energetici e alimentari l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta potrebbe crescere di circa un punto percentuale, salendo all’8,6% con forti eterogeneità territoriali: + 2,8 punti percentuali nel Mezzogiorno, contro lo 0,3 del Nord. In valori assoluti si stimano 760mila nuovi poveri causati dallo shock inflazionistico, di cui 500-600mila al Sud».
Intravede un pericolo recessione?
«Il pericolo c’è. Svimez stima per il 2023 un calo del Pil nel Mezzogiorno dello 0,4%, mentre l’Italia dovrebbe crescere dello 0,9%. La Campania dovrebbe passare invece dal -0,5% di quest’anno, dovuto anche al calo dei consumi e all’inasprimento della politica monetaria della Bce, a +0,9% del 2024. Ma occorre che il Governo s’inventi qualche cosa e che continuino a crescere le attività di servizi come turismo, ristorazione e commercio».
Che fare, allora?
«Da un lato va assicurata continuità alle misure contro il caro energia per mitigare l’impatto sui bilanci di famiglie per le quali i rischi di una nuova povertà energetica sono più concreti, e a favore delle imprese per salvaguardarne l’operatività; dall’altro, va accelerato il rilancio degli investimenti pubblici e privati dando priorità ad uno straccio di politica industriale attiva per ampliare e ammodernare la base produttiva e creare buona occupazione soprattutto al Sud».
Ritiene incisive le misure varate dal Governo?
«Si tratta di interventi frammentati, senza quella strategia che guidi il Paese verso l’individuazione di obiettivi e aree tecnologiche e produttive prioritarie. La debole selettività di buona parte delle misure di politica industriale rappresenta una delle cause delle difficoltà dell’Italia a superare i divari produttivi con gli altri Paesi europei e del Mezzogiorno a superare quelli con il Centro-Nord».
A parte l’industria, ritiene il Mediterraneo centrale per la crescita del Paese?
«Mitigazione della dipendenza energetica del Paese e riduzione dei costi energetici per le imprese sono le priorità per la crescita, così come lo è il comparto marittimo. Porti, retroporti e vie del mare possono rappresentare degli hub di sviluppo della logistica, trasporti e occupazione. Ma anche in questo campo vanno studiate modifiche strutturali sotto il profilo energetico. Il Mediterraneo è centrale per l’Europa e le grandi navi sono costrette a transitare per il Mare Nostrum ma i porti vanno attrezzati e adeguati ai nuovi profili energetici. Pare però che il ministro delle Infrastrutture non lo abbia compreso».
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