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l'opinione
13 Giugno 2025 - 11:02
Quanti cittadini sono rimasti sorpresi dal fallimento dei referendum dell’8 e 9 giugno? C’è da scommettere si tratti di una piccola minoranza di inguaribili ottimisti. Lo affermo, si badi bene, senza alcuna pretesa di svilire il significato dei quesiti posti all’attenzione degli elettori. Alcuni potevano essere più o meno condivisibili, altri più discutibili, ma non è questo che conta. Il punto è che, con l'astensionismo dilagante e le regole attuali, che impongono un quorum del 50% degli aventi diritto al voto più uno, era quasi impossibile farcela.
Finché le regole restano queste, indire referendum che non abbiano una capacità attrattiva straordinaria (esempio per assurdo: approvare o meno la divisione del Paese in due Stati, come fecero a suo tempo in Cecoslovacchia) serve solo a buttare soldi dalla finestra. Come ha affermato Antonio Polito, con la solita lucidità di analisi, per ridare linfa allo strumento referendario bisognerebbe intervenire a monte e a valle. Vale a dire, aumentando sensibilmente il numero delle firme da raggiungere per attivare il referendum e, ‘in cambio’, abbassando l’asticella in termini di quota votanti da raggiungere, senza esagerare e rischiare di far decidere a una ridotta minoranza questioni importanti per la nazione.
In mancanza di riforme di questo genere, c'è da chiedersi: non è meglio utilizzare le risorse sprecate per i referendum (allestimento dei seggi, pagamento degli scrutatori, campagne di divulgazione dei quesiti) per incentivare la realizzazione di iniziative imprenditoriali e la creazione di nuovi posti di lavoro al Sud? Non intendiamo fare demagogia, stiamo solo constatando l'inutilità di una consultazione effettuata sapendo fin dall'inizio come va a finire: mancata validazione. È questo l’aspetto più criticabile della vicenda.
Riesce difficile pensare che i promotori dei referendum, alla luce del mancato raggiungimento del quorum in diverse altre occasioni, si aspettassero davvero di centrare l’utopistico traguardo della metà più uno. Ma, se le cose stanno così, significa che la ricerca di visibilità e la volontà di creare divisioni e contarsi anche all’interno dei propri schieramenti, sono state le vere molle dell’iniziativa, nascoste dietro il pretesto di assicurare modifiche normative in grado di migliorare diritti e benessere in alcune fasce della popolazione. Se i nostri politici, a cominciare dall'opposizione, si comportano in questo modo, non possiamo certo meravigliarci che si allarghi la distanza tra il Palazzo e la gente.
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