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Il modello Zes e il gap del Sud

Il Sud ha bisogno di grandi investimenti, e non solo endogeni, per rafforzare il suo tessuto produttivo

Il modello Zes e il gap del Sud

Il modello Zes sta funzionando bene. Grazie all’accoppiata semplificazione normativo-regolamentare e credito d’imposta, gli investimenti nel territorio meridionale sono aumentati, creando migliaia di posti di lavoro. Il ministro degli Affari europei, del Pnrr e delle Politiche di coesione, Tommaso Foti, ha annunciato al convegno di Capri dei Giovani industriali di avere chiesto all’Unione europea di estenderlo a tutta l’Italia.

La svolta si limiterebbe alla sburocratizzazione, non riguarderebbe anche il credito d’imposta. In astratto, sarebbe condivisibile, considerando che il ginepraio di placet e autorizzazioni di ogni genere che le pubbliche amministrazioni devono rilasciare agli operatori costituisce un fattore di freno per l’economia. Sul piano concreto, va valutato un possibile effetto negativo per il Mezzogiorno. Se, infatti, le scelte di allocazione degli investimenti al Sud possono essere state favorite dalla considerazione degli investitori di poter fruire di un doppio vantaggio rispetto a soluzioni di localizzazioni alternative in altre aree del Paese, con l’estensione della Zes a tutta la Penisola resterebbe in gioco solo il beneficio del credito d’imposta.

Che sarebbe importante per le aziende del Sud, ma potrebbe risultare non determinante per quelle del Centro-Nord e per quelle estere, visto che, molto più dell’incentivo fiscale, ad attrarre imprenditori e manager è la prospettiva di sbrogliare in poche settimane procedure che, senza la Zes, durano mesi e mesi.

Resta, sullo sfondo, il divario infrastrutturale del Mezzogiorno, non colmato se non in piccola parte da un Pnrr in cui diverse opere pubbliche di grande impatto sono state stralciate e rinviate nel tempo, affidandole alla programmazione dei Fondi Ue. Se il gap si riducesse drasticamente, il Sud concorrerebbe ad armi pari, come area di attrazione degli investimenti, con il Centro-Nord e con altre nazioni europee. Se, invece, i collegamenti ferroviari, le reti di telecomunicazione, idriche ed energetiche, la dotazione sanitaria e formativa, gli altri servizi pubblici continuassero a disegnare un’Italia divisa in due, la Zes italiana potrebbe risultare anche un problema. A meno di non venir scadenzata di qui a qualche anno, quando alcuni interventi previsti per assicurare maggiore coesione territoriale dovessero andare a buon fine.

Il Sud ha bisogno di grandi investimenti, esogeni quindi e non solo endogeni, per rafforzare il suo tessuto produttivo. Prorogare l’attuale regime, compensativo delle diseconomie da cui è afflitto, potrebbe accelerarne le dinamiche di sviluppo.

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