Speciale elezioni
l'opinione
10 Novembre 2025 - 10:28
Si racconta che il Governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta abbia telefonato al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti per chiarire che il suo ente non aveva intenzioni critiche nei confronti dell’Esecutivo guidato da Giorgia Meloni.
Se è vero, è stato un intervento informale giusto e opportuno. Nel corso delle audizioni sulla Legge di Bilancio sia Bankitalia che Istat avevano segnalato come i tagli alle aliquote disposti dal Governo privilegiassero i due quinti della popolazione ‘più ricca’ del Paese. La questione, in realtà, non può essere risolta in termini semplicistici. Come non essere d’accordo, infatti, con i funzionari del Ministero dell’Economia, quando si chiedono se si possa considerare facoltoso un soggetto che guadagni due milioni netti al mese?
La verità è che quella dei redditi è una giungla dove si annida di tutto, dall’evasione fiscale al lavoro nero, e che diverse componenti finiscono per condizionare quello che appare in superficie.
Di sicuro, in ogni caso, non potrà essere il fisco a risolvere un altro problema sempre più ineludibile, che è quello dei salari.
Come ha acutamente osservato l’economista Francesco Giavazzi, ne è passata di acqua sotto i ponti da quel 1993, in cui Carlo Azeglio Ciampi intervenne per eliminare un meccanismo perverso, per il quale i contratti collettivi di lavoro venivano rinnovati tendendo conto dell’inflazione passata, finendo così per perpetuare una tendenza che stava minando alle radici l’economia italiana. Si decise allora che gli aumenti venissero disposti sulla base dell’incremento dei prezzi previsto per il futuro, con notevoli benefici per i conti pubblici del Paese.
Il problema, particolarmente avvertito in questi anni, è che la tempistica di rinnovo dei contratti si è dilatata nel tempo, tanto che, ad esempio, anche il recente nuovo contratto degli enti locali, pur aumentando le buste paga del 6%, recupera poco più di un terzo del potere d’acquisto perduto nel frattempo dai lavoratori, pari a circa il 17%.
Bisogna quindi considerare seriamente la possibilità di incentivare i rinnovi contrattuali per accelerarne la definizione, ad esempio stabilendo che, dopo un certo periodo di mancato accordo tra le parti, si applichino aumenti che compensino l’inflazione perduta. Una via di mezzo, insomma, tra la prassi di un tempo, che stabiliva l’immediatezza del recupero del potere d’acquisto, e l’andazzo iniquo dell’ultimo periodo. Ma, si sa, in medio stat virtus.
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