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l'opinione
03 Dicembre 2025 - 10:08
Il problema italiano non è addebitabile a questo o a quel Governo. Conta relativamente poco che nel secondo trimestre di quest’anno il pil sia tornato a calare (-0,1%) e che le previsioni per il 2025 siano orientate a un ritorno alla crescita degli zerovirgola (appena +0,4%). Quello che interessa e dovrebbe seriamente essere valutato da tutte le forze politiche, di maggioranza o di opposizione, è che l’economia italiana da un quarto di secolo ha smesso di correre. La banca dati del Fondo monetario internazionale ci dice che dal 2001 il Pil pro capite a prezzi costanti è aumentato nella Penisola di appena il 4,98%. Nello stesso periodo, in Francia l’incremento è stato del 18,51%, in Spagna del 22,28%, in Germania del 23,35%, in Olanda del 25,7%.
In precedenza, l’Italia era una lepre, non la tartaruga dell’area euro. Nel ventennio tra 1980 e fine del secolo, il pil pro capite nazionale è cresciuto del 54,76%, molto più dunque di Francia (44,99%) e Germania (44,42%), dietro solo a quello della Spagna (65,34%). L’andamento ha cambiato verso con l’inizio del millennio. Dopo un breve periodo di risalita in questi ultimi anni, favorito dalla massiccia iniezione di risorse originata dal Pnrr, l’Italia ha ricominciato a fare registrare un andamento di pil così basso da porla in coda alla graduatoria continentale. Il Piano di ripresa e resilienza ha evitato solo che il Paese piombasse in una recessione.
A causare il male oscuro dell’economia italiana incide la crisi della produzione industriale, che dal 2021 è crollata di quasi dieci punti. Un fenomeno spiegabile anche con la forte dipendenza dell’industria del Nord da quella tedesca, anch’essa in marcata flessione. A cambiare le sorti del Paese potrebbe essere il Mezzogiorno, un’area con forze giovani e territori non saturi che, valorizzati adeguatamente, potrebbero assicurare una forte spinta al Pil, rilanciando la produzione industriale in una direzione diversa dal passato, più indirizzata alle relazioni con i Paesi del Mediterraneo rispetto a quella tradizionale del Centro-Nord.
Il Governo ha una grande carta da giocare, in tal senso. Basta concentrare gli sforzi sul Sud, aumentare le risorse sia in termini di incentivi alle imprese che di realizzazione di opere infrastrutturali fondamentali per accelerare connessioni e traffici all’interno del Mezzogiorno e tra quest’area e il resto del Paese, dell’Europa e degli altri Paesi del bacino mediterraneo.
È tempo di agire, il Sud può fare uscire l’Italia da un’economia al rallentatore.
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