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La riflessione
07 Giugno 2025 - 11:18
“Nessuno li sente morire”. Questa frase, nuda e crudele, racconta più di mille analisi politiche. Racconta l’essenza di ogni guerra: il rumore assordante della violenza che copre il grido silenzioso degli innocenti. Nel cuore martoriato del Medio Oriente, il conflitto tra Israele e Palestina continua a divampare, in una spirale che sembra non conoscere fine. Le cause sono complesse, stratificate da decenni di storia, identità, territori contesi e ferite mai guarite. Ma oggi, prima ancora delle mappe e dei confini, ci sono i corpi.
I bambini che non conoscono la geografia del potere, le madri che non hanno più braccia da stringere, gli anziani che muoiono senza avere colpe, se non quella di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Le immagini che ci arrivano dai luoghi martoriati dai bombardamenti, sono quelle di vite spezzate. Ospedali distrutti, case sbriciolate, file di bare coperte da lenzuola che non coprono il dolore. E su tutto, il rumore della guerra: delle sirene, delle esplosioni, dei droni. È un rumore che non lascia spazio alla voce dei sopravvissuti, che annulla ogni speranza, che rende muto anche il lutto. In mezzo a tutto questo, il mondo guarda. Alcuni schierandosi, altri chiudendo gli occhi.
Ma forse, in questo momento, non servono né analisi né ideologie. Forse serve soltanto un istinto elementare: quello umano. Quello che davanti a un bambino sotto le macerie non chiede da che parte stava, ma semplicemente tende la mano. Non è un appello politico, ma umano. Un cessate il fuoco che non è un compromesso tra le parti, ma un respiro tra le macerie. Un momento per riconoscere che al di là delle ragioni, delle accuse e delle rivendicazioni, la guerra ha una sola verità indiscutibile: le vittime sono quasi sempre innocenti.
Chiedere la fine dei bombardamenti, dei razzi, delle incursioni, non significa scegliere un fronte, ma difendere l’unico valore che dovrebbe essere universale: la vita. Perché quando il fragore delle esplosioni tace, si può finalmente ascoltare ciò che davvero conta: il pianto di chi resta, la voce di chi chiede pace, il battito fragile di un cuore sotto le rovine. E in quel silenzio, forse, potremmo ricordarci che l’umanità non ha bandiere.
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