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Missili e bombe decidono il futuro del conflitto global

La decisione di bombardare l’Iran sottende chiaramente il coinvolgimento degli Usa

Missili e bombe decidono il futuro del conflitto global

Si resta sinceramente alquanto stupiti quando s’osservano i tentativi del Vecchio continente – mai così naturalmente questa definizione è andata adagiandosi sull’Europa – d’inscriversi nelle dinamiche del conflitto che sta contrapponendo l’Iran ad Israele e che potrebbe rivelarsi per davvero l’anticamera d’una guerra ancor più mondiale di quanto quella in atto in modo sotteso già non sia. Soprattutto dopo i bombardamenti decisi da Trump ai siti nucleari iraniani. Se gli Usa, come sembra, dovessero lasciarsi avvincere dall’abbraccio di Tel Aviv – che ha fatto saltare volutamente le trattative in atto trail presidente Trump ed la potenza sciita – e dovessero continuare a dar man forte al loro storico alleato in Medio Oriente evidentemente s’aprirebbero scenari di guerra potenzialmente idonei a chiamare in causa altre potenze mondiali: e comunque certamente capaci di creare uno scenario di destabilizzazione, le cui conseguenze nessuno evidentemente è in grado di stabilire.

Del resto, per quel che si sta vedendo in queste ore, Israele ha assoluto bisogno dell’intervento Usa, anche perché avere in corso ben cinque teatri di guerra in contemporanea, e ricevere quotidianamente missili iraniani a squassare il proprio territorio, sta configurando una situazione del tutto insostenibile, che potrebbero spingere il Paese sionista anche a passi estremi. Sicché, la decisione di bombardare l’Iran sottende chiaramente il coinvolgimento degli Usa. E poiché gli Usa sino ad oggi non sono mai venuti meno, nella sostanza, ma anche nella forma, all’appoggio del loro storico alleato – le cui capacità d’influenzare la politica di Washington sono praticamente interminate – c’è da attendersi che le cose andranno in una certa direzione: nella direzione cioè che, o il regine dell’ayatollah Kamenei verrà in tutta fretta a miti consigli ed accetterà di trattare col Trump – c’è da sperarlo, e forse anche da crederlo – oppure la discesa in campo della sconfinata potenza militare americana sarà ancora più decisa, dopo i primi bombardamenti ai siti nucleari iraniani.

Quali le conseguenze ultime, a parte distruzioni e devastazioni, difficile pronosticare. Ma è uno scenario ampiamente plausibile, come mostrano le dislocazioni di forze ordinate nella regione dal Presidente Usa. Per tornare al vecchio Continente, esso pone in atto mosse patetiche. A Ginevra venerdì scorso si sono incontrati i ministri degli esteri inglese, francese, tedesco ed il responsabile della politica estera europea, tutti con l’omologo iraniano. Ovviamente, un nulla di fatto, non un benché minimo passo avanti. C’è da chiedersi qual sia mai stato il senso dell’iniziativa. Certo, a quell’incontro si son recati, oltre al nulla assoluto costituito dal rappresentante UE, i due ministri degli Stati dotati di bomba atomica e quello espressione della più forte economia del continente.

Ma su quali mezzi di pressione i nostri avrebbero potuto contare? È noto dall’età di Cesare, ed anche da prima, che la diplomazia si regge, sempre che sullo sfondo ci sia una possibilità di esercitare efficaci strumenti di persuasione: e nello stato in cui ci si trova oggi nella regione mediorientale infiammata nel suo complesso come non accadeva almeno dalla seconda guerra irachena, l’unica pressione in grado di svolgere per davvero un ruolo è quella della potenza bellica. Chi s’erge ad intermediatore non può certo credere di poterlo fare usando un’abilità argomentativa o i pur fascinosi mezzi dell’ironia socratica. Colà son missili e bombarde che danno il tono ai confronti; ogni giorno ed ogni notte piovono bombe che fanno disastri, non è possibile immaginare che una qualche incidenza la si possa ottenere con la moral suasion, non è più tempo per tali nuances. Con atteggiamento questa volta semplicemente realistico, il presidente americano l’ha detto chiaro: gli iraniani non vogliono parlare con l’Europa, vogliono parlare con me.

E non perché la conversazione con il comandante in capo sia particolarmente agreable o si distingua per civiltà e garbo; no, semplicemente per molto più materiali ragioni. Dato che sono gli Usa a sostenere Israele, rifornendolo di mezzi militari pressoché illimitati, risorse economiche, sostegno politico a livello internazionale di peso decisivo; sono sempre gli Usa a poter intervenire nella regione facendo sì che le sorti della guerra si trasformino rapidamente in un disastro per l’Iran, con conseguenze però che neanch’essi possono in alcun modo prevedere, poiché l’eliminazione dei capi di quel regime non vorrebbe dire l’eliminazione di un popolo, solo in parte limitata pronto ad aprirsi ai valori dell’Occidente, ammesso che i nostri siano valori tanto condivisibili da poter imperare per ogni dove.

La politica internazionale, quando le cose hanno superato un certo segno, si attua essenzialmente fondandosi sulla forza d’intimidazione della forza, un’intimidazione che per essere davvero tale deve anche potersi tradurre molto rapidamente in gesti concreti, capaci di modificare lo scenario. Ed è per questo che c’è ancora da auspicare che gli Usa, dopo l’attacco di ieri, non scendano in campo con tutte le loro forze, stravolgendo gli equilibri di quel mondo mediorientale sempre pronto ad esplodere e costantemente in ebollizione, caratterizzato com’è da enormi ricchezze che s’accompagnano a quadri culturali ed istituzionali tutt’altro che adeguati a gestire la potenza economica di cui dispongono, anche in ragione degli enormi divari che attraversano quelle società.

Ma è evidente che noi europei – peraltro, non noi europei, ma le sole Francia, Germania ed Inghilterra, la quale ultima peraltro all’Europa istituzionalizzata non aderisce nemmeno – possiamo solo far grama figura ad intrometterci in quel terribile affare, dato che nulla abbiamo da offrire, alcunché per condizionare, nessuna soluzione da proporre. E questo dovrebbe davvero far riflettere perché, con gli scenari che si prospettano nei prossimi decenni e con le minacce molto concrete che si indirizzano verso i nostri lidi, l’insignificanza attuale potrebbe costarci molto, molto cara.

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