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La polemica
23 Giugno 2025 - 16:38
Un attivista queer che trascina per il collo un cadavere con una croce celtica tatuata sul collo. In alto, la scritta “Contre l’internationale réactionnaire” (“Contro l’internazionale reazionaria”). In basso, lo slogan “Queers de tous les pays, unissons-nous”, ovvero “Queer di tutti i Paesi, unitevi”, ricalcato sul celebre motto marxista “Proletari di tutti i Paesi, unitevi”.
È questo il manifesto ufficiale della “Marche des Fiertés” di Parigi 2025, il Pride francese in programma il 28 giugno. Un’immagine che ha suscitato una valanga di polemiche in tutta Europa, non solo per i toni estremi ma per la sua simbologia, che non lascia spazio a interpretazioni ambigue: il nemico politico, identificato con l’estrema destra, è rappresentato come un corpo morto, da trascinare via tra bandiere e fiamme stilizzate.
A tutto questo si aggiunge la presenza, nel manifesto, di una donna con il velo islamico, raffigurata tra gli attivisti LGBTQ+. Un elemento che ha sollevato interrogativi anche in ambienti laici: può un simbolo religioso che in molti Paesi è imposto con la forza convivere con una marcia che si definisce libertaria?
A rompere il silenzio con una posizione netta è stata Vladimir Luxuria, attivista e volto storico del movimento LGBTQ+ italiano: «Se ci fosse stata un’adunata di estrema destra in cui si raffigurava un militante che trascina per il collo il cadavere di un gay, ci saremmo sollevati. Avremmo fatto un gran casino».
«Il nostro movimento deve continuare a essere pacifico. - contunua - Non si può rispondere alla violenza che subiamo con un altro messaggio di violenza. Violenza non è solo quella fatta di calci, pugni e sputi, ma anche la violenza dei messaggi che si mandano. Non condivido questo tipo di immagine».
Sulla presenza della donna velata, Luxuria ha commentato: «Il Pride deve essere inclusivo. E quindi deve comprendere tutti e tutte. Anche le donne col velo che intendono partecipare, cioè sono tante ovviamente, che vivono in Francia. Quindi è un messaggio alla folta comunità musulmana di aprirsi su questi temi».
Ma la polemica non si ferma al dibattito interno al movimento. Per molte realtà civiche e associative il problema è più ampio, e riguarda una deriva ideologica sempre più aggressiva.
Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia Onlus, va al cuore della questione: «Dietro gli slogan retorici del movimento LGBT sull’amore fluido, sul rispetto e sulla tolleranza si nasconde un carico di enorme violenza, discriminazione e demonizzazione nei confronti di chiunque non si allinei all’agenda politica arcobaleno, come utero in affitto, fiabe gay nelle scuole e blocco ormonale dei minori».
«In Italia siamo le prime vittime di questo clima intimidatorio, - prosegue - basti pensare che la nostra sede a Roma è stata vandalizzata con offese e minacce più di 13 volte in 3 anni da collettivi LGBT e transfemministi. I cittadini comuni però stanno prendendo coscienza del fenomeno, ed è il motivo per cui la causa LGBT è sempre meno popolare. L’odio arcobaleno è un boomerang».
Le parole di Coghe fotografano un clima che si sta polarizzando sempre di più. E il caso del manifesto francese ne è, per molti, il simbolo più esplicito: la battaglia per i cosiddetti diritti rischia di diventare, per una parte del movimento, un campo di guerra ideologica dove il dissenso non viene più accettato, ma eliminato. Anche visivamente.
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