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L’ANALISI

Trump tra pace Rwanda-Congo e il popolo iraniano sconfitto

Non stupisca che certa sinistra occidentale, tanto spocchiosa quanto decadente, non vi abbia fatto caso

Trump tra pace Rwanda-Congo e il popolo iraniano sconfitto

Donald Trump

Non stupisca che certa sinistra occidentale, tanto spocchiosa quanto decadente, non vi abbia fatto caso e nessuno dei mille media di cui dispone ne abbia fatto cenno. E neppure sorprenda che la cosiddetta maggioranza silenziosa - che sovente nasconde ignavia e codardìa dietro parole inutilmente giudiziose - sia restata appunto silenziosa.

La pace tra i regimi dittatoriali di Rwanda e Repubblica democratica (sic!) del Congo, firmata a Washington sotto la regia di Donald Trump, ha ottenuto un attimo appena di visibilità sol perché il presidente Usa anche in quell’occasione ha minacciato di nuovo dazi (al Canada) e nuove bombe sull’Iran dell’ingrato Alì Khamenei, da Guida Suprema ridotto a Supremo Vigliacco rintanato come un topo di fogna ma visibile a Mossad e Cia. Ma tant’è….

Il conflitto che prese le mosse dalla guerra civile in Rwanda, nell’estate del 1994, tra le etnìe Hutu e Tutsi, si è trasferita ed ha dilaniato le regioni congolesi di frontiera, segnatamente il Kivu, ricco di miniere (uranio, cobalto, tungsteno, diamanti, oro, rame…), segnatamente di coltan, ‘terre rare’. Reparti di forze armate, soldati e reparti di eserciti allo sbando, milizie etniche, soldataglia di ‘signori della guerra’, bande di briganti…. ecc. ecc.

Venne definita vent’anni fa “la prima guerra mondiale africana” perché ha alimentato gli appetti e interessato i diversi regimidell’intera regione australe del continente e non solo. Una decina di Paesi coinvolti e 5 milioni e mezzo circa di morti. Avevano puntato sul Congo (e la Francafrique) sia l’America di Bill Clinton, sia la servizievole Inghilterra. Ma poi sono arrivati i nuovi colonizzatori,cinesi in testa, senza troppo clamore, maestri nello sfruttare la corruzione dilagante in Africa mentre gli altri si sparano addosso.

Tregue, cessate-il-fuoco, firme sotto intese contrabbandate per pace e via elencando, tutto insomma carta da imballaggio di chiacchiere. Due anni fa il Papa giunse a Kinshasa e gridò: “ll Congo e l’Africa non sono una miniera da sfruttare. Fuori dal Congo, andate via dall’Africa!”. Tra le tante parole al vento. Quanti morti, finora? “Oltre 10 milioni di vittime in 28 anni, di fatto il conflitto più sanguinoso dopo la Seconda guerra mondiale”: una delle stime accreditate.

C’è chi dice di meno e chi ne somma di più. Cifre inverificabili, come quelle di un altro conflitto dimenticato, nel Sudan. Forse più vicine alla realtà di quelle, a Gaza, suggerite da Hamas ad ‘Al Jazeera’ e rilanciate senza controlli possibili, se non il raffronto con i dati israeliani. Ma torniamo a Trump, notaio di questa pace non da copertina e da conferma sul terreno finora campo di battaglia.

Dazi e Iran restano i temi forti. Sottolineammo - illo tempore - che avremmo dovuto abituare occhi e orecchie alla retorica e alla tattica politica del presidente statunitense. Non stupisca se spacci per pace una tregua con l’Iran e paragoni le superbombe al tritolo sganciate sui siti nucleari alle oscene atomiche che cancellarono Hiroshima e Nagasaki, disarmate e abitate da civili come Dresda, divorate da un fuoco più rapido e colossale.

Per il capo della Casa Bianca e gli alleati dell’ “Occidente cumulativo”, come lo definisce Vladimir Putin, un gran successo. Ma lo sarà davvero se favorirà l’allargamento degli Accordi di Abramo - a cominciare dall’adesione della Siria ora in versione ottomana - aprendo concretamente la prospettiva di uno Stato della Palestina, presumibilmente in Cisgiordania. Si spegnerebbe gradualmente il conflitto israelo-palestinese e l’interesse, interno ed esterno, a mantenerlo in vita.

Previsioni il cui limite è l’esser tali, di un presidente americano pro tempore e con le elezioni di mid term che s’avvicinano. La cosiddetta “guerra dei dodici giorni” ha visto la Città Proibita in una tradizionale “attesa sul greto del fiume”ma associata ad un silente espansionismo nei cortili di casa, altrui.

Dal Cremlino è giunta una duplice conferma: non può garantire gli alleati per insufficienza di forze militari convenzionali ed economiche mascommette su Trump perché -- ancorandosi a Washington e a Pechino – Mosca può assicurarsi lo spazio nel triangolo tripolare dell’equilibrio internazionale in questo giro della storia. Fosse pure breve, ché nuove potenze regionali crescono. Il ‘Martello di mezzanotte’ è da considerarsi quindi un successo parziale.

Ritarda il programma nucleare di Teheran e un probabile intervento di Israele: avrebbe utilizzato le sue testate atomiche (92 l’ultima stima nota) per sventare il rischio di una corsa all’atomica nel Medio Oriente allargato. Gli 8 milioni di ebrei si considerano nel mirino di regimi dichiaratamente nemici e si sentono accerchiati da 400 milioni di nemici potenziali: è il possesso esclusivo della Bomba, in quello spazio ultraregionale del pianeta, a garantirne la sopravvivenza.

In questa “guerra di dodici giorni” l’unico sconfitto è per ora il popolo iraniano. I più coraggiosi hanno raccolto l’appello di Benjamin Netanyahu a rivoltarsi contro la tirannia dei fanatici religiosi che dal 1979 ha soggiogatola Persia. Sono scesi in piazza ma sono stati massacrati dalle milizie di Khamenei. Non erano in molti.

I più coraggiosi, chissà se figli e nipoti di coloro che invocavano democrazia: mancava ma appariva meno lontana ai tempi dello scià Reza Pahlavi. Trump punta a un cambio di regime a Teheran, ma graduale per motivi internazionali ed interni (l’elettorato neo-isolazionista). Immagina che possa maturare all’interno stesso del regime.

Pesa il ricordo delle follìedelle amministrazioni Usa influenzate dai ‘neocon’. L’Iraq, la Libia -- per citare le più eclatanti – fanno temere per l’Iran il buio dell’immediato dopo, il vuoto di potere. Ritiene, Trump, che un processo di rinnovamento istituzionale sia favorito 1) dalla debolezza militare, geostrategica ed economica della teocrazia; 2) dall’età veneranda di Khamenei e dal cerchio dei potenziali successori, giudicati privi di carisma e sotterraneamente rivali litigiosi; 3) dal concorso interessato di Mosca e di Pechino, con i quali l’America di Trump concepisce il triangolo dell’equilibrio planetario nel prossimo futuro. Vedremo l’esito di questo progetto. O piuttosto, di questa scommessa. 

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