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21 Luglio 2025 - 09:49
Nato, i leader dell'Alleanza a L'Aja
La Nato è sopravvissuta, ma non è più la stessa. Il vertice dell’Aja ha confermato che l’Alleanza Atlantica è viva, almeno formalmente. Ma sotto la superficie, si avverte un cambiamento profondo: l’asse tra Stati Uniti ed Europa si è incrinato. E il principale artefice di questa mutazione è ancora una volta lui, Donald Trump. Il ritorno di Trump alla Casa Bianca ha già prodotto i primi effetti concreti: la richiesta – anzi, l’imposizione – ai Paesi membri di portare le spese militari al 5% del pil entro il 2035. Un diktat senza precedenti, accompagnato da un silenzio assordante sull’articolo 5 dello Statuto Nato, quello che garantisce la difesa automatica e collettiva in caso di aggressione.
Una scelta che mina il principio stesso di solidarietà alla base dell’Alleanza. Trump ha smesso di garantire che l’ombrello militare americano sarà aperto "comunque". Ora vale solo "a certe condizioni". E queste condizioni dipendono dalla sua volontà politica, sempre più imprevedibile. L’Ucraina? Trump la scarica Nel documento finale del vertice, nessuna condanna esplicita alla Russia. Solo un generico richiamo alla necessità di sostenere l’Ucraina. Troppo poco, troppo vago. L’impressione è chiara: Kiev non è più una priorità per Washington.
Anzi, i legami opachi tra Trump, Putin e il regime iraniano alimentano dubbi e sospetti. La guerra in Ucraina e il conflitto in Medio Oriente sembrano due crisi separate, ma in realtà sono connesse. E l’atteggiamento ambiguo dell’America trumpiana non aiuta la stabilità globale. L’Europa, di fronte a tutto questo, non può continuare a fingere. Se la Nato è ancora necessaria, è ormai urgente costruire una “Nato nella Nato”: un nucleo europeo coeso, con Francia, Germania, Regno Unito, Polonia, Canada, Australia e Giappone. Un gruppo di paesi pronti a investire nella difesa comune, a partire da una deterrenza nucleare autonoma e da un sostegno reale, costante e credibile all’Ucraina. Ma c’è di più.
È tempo di costruire una vera governance europea della Difesa. Nessun Paese, Italia compresa, potrà reggere da solo l’impegno del 5% del pil in spese militari. Serve un bilancio comune, serve integrazione industriale, serve – in una parola – visione. Non si tratta più solo di strategia: è questione di sopravvivenza geopolitica. E l’Italia? L’Italia, finora, ha preferito non esporsi. Meloni ha oscillato tra aperture europeiste e ammiccamenti a Trump. Ma la finestra di ambiguità si sta chiudendo. Il tempo delle mezze misure è finito. Restare alla finestra, mentre il mondo cambia, è una scelta.
Ma è la scelta sbagliata. Il colloquio tra Meloni e Schlein al vertice dell’Aja, tanto celebrato dai media, non può limitarsi a un esercizio di buone maniere. Il rischio è quello di un pacifismo velleitario e isolazionista, del tutto fuori fase rispetto ai nuovi equilibri globali. La storia bussa. E chi non risponde verrà spazzato via, dalla cronaca prima ancora che dalla Storia.
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