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Ucraina: le due ipotesi e il coraggio della rinuncia

La storia insegna che conflitti tra i più devastanti furono innescati da avvenimenti trascurabili

Ucraina, Zelensky giovedì in Turchia aspetta Putin: «Incontro può far finire la guerra»

Volodymyr Zelensky

Vladimir Putin vuole la pace. Lo ha ripetuto ieri. Volodymyr Zelensky vuole pure lui la pace. Lo ripete un giorno sì e l’altro pure. Entrambi accompagnano i propositi con sventagliate di droni e semine generose di mine che mietono cadaveri o mutilano umani e animali selvatici nei boschi e sui sentieri delle ultime antiche foreste dell’Europa centrale, a volervi comprendere l’Ucraina per le acquisizioni di territori occidentali. Vorrebbe imporla, la pace, Donald Trump con i suoi ultimatum: proclamati e riscadenzati e sospesi e annullati e rinnovati… ecc ecc . L’ultimo a Putin, seguito da una sceneggiata da “dottor Stranamore” con Dimitrij Medvedev, già presidente della Federazione russa, filo-occidentale pentito, dialetticamente capace di tenergli testa: due sottomarini americani gonfi di testate nucleari in avvicinamento? Mosca ha più armi atomiche e i missili partono automaticamente.

La storia, però, insegna che conflitti tra i più devastanti furono innescati da avvenimenti trascurabili: una Elena un po’ troppo accondiscendente, un attentato a Sarajevo osceno ma che poteva esser ‘riparato’ politicamente, il dislocamento improvviso di forze militari. Altre le vere cause, però…Come finirà la guerra in Ucraina? Un secolo e mezzo fa Otto von Bismark sosteneva che le previsioni che superino i sei mesi valgono poco. Oggi le previsioni sarebbero piuttosto profezie, lavoro per chiromanti. Possiamo, però, valutare cause, svolgimento, costi umani e materiali, danni strategici di questo conflitto e avanzare ipotesi non proprio da bar dello sport.

Riduciamole alle principali due. 1) La pessimistica. La guerra potrebbe degenerare persino in uno scontro nucleare. Il conflitto, infatti, si svolge sulla base di un tacito patto tra la Federazione russa e la Nato: Mosca non fa ricorso all’armamento atomico tattico; l’America e i Paesi dell’Alleanza Atlantica non offrono a Kiev i missili ‘convenzionali’ a media e intermedia gittata. E’ una fortuna per l’Ucraina che il Cremlino non abbia finora fatto ricorso alle a testate ‘tattiche’. Ed è una fortuna per la Russia che Barak Obama e lo stesso Joe Biden abbiano respinto la reiterata richiesta di Zelensky. Il loro impiego avrebbe reso palese, ancor più di questi tre lunghi anni di combattimento, la debolezza delle forze armate convenzionali della Federazione russa. 2) Ipotesi ottimistica. Il conflitto potrebbe avere una svolta positiva. Trump ha cancellato il ‘casus belli’ chiarendo che l’Ucraina non verrà accettata nella Nato. Ha rimosso l’ostacolo principale. Mosca, tuttavia, ha buoni motivi per diffidare. Non del capo della Casa Bianca pro-tempore ma dell’Occidente, considerati i precedenti.

Difficile ritenere che Putin non valuti l’alternativa. Quale? Trump ha bisogno, in vista delle prossime elezioni di mid-term di poter vantare successi, a Gaza e ancor più in Ucraina. Il Cremlino non ha interesse a vederlo indebolito. Dietro l’angolo resta, quindi, la possibilità di un compromesso, sancito da un summit Trump-Putin. Incoraggiante, nonostante le difficoltà, la ripresa delle trattative a Istanbul, che il regime ucraino improvvidamente abbandonò. Così come rigettò e rifiutò altri progetti di negoziato, segnatamente quelli proposti dal presidente cinese Xi Jinping e dall’ex premier israeliano NaftaliBennett. Ecco perché siamo forse a un passo dalla pace. Se si avrà il coraggio di percorrerlo. Coraggio, perché il compromesso anche per una tregua modello coreano -come suggerì Henry Kissinger nella sua ultima analisi, vero e proprio testamento di realpolitik -abbisogna della disponibilità preventiva alla rinuncia. Una lunga tregua rappresenta un futuro appuntamento con un trattato di pace. E, da subito, un cessate il fuoco, l’interruzione della catena dei morti e delle distruzioni, la ricchezza assicurata dalla ricostruzione.

Coltiviamo perciò la speranza che Mosca e Kiev prendano coscienza dei limiti che il pragmatismo impone, cioè la rinuncia ai massimi obiettivi preventivati. Illusorio per Kiev riprendersi dalla Russia sia la Crimea con la base strategica e irrinunciabile di Sebastopoli, sia le quattro regioni russofone che dal 2014 teatro di scontro: (Repubblica popolare di) Donetsk, (Repubblica popolare di) Lugansk e le oblast di Kherson e di Zaporizhzhia. Troppo costosa per Mosca un’occupazione che ecceda i territori finora (ri)annessi e le stesse capacità di controllo da parte delle forze convenzionali russe. A testimoniarlo, l’incursione delle forze speciali ucraine nell’oblast di Kursk e il supporto di forze militari nordcoreane. Mosca non può rinunciare alla ‘fascia di sicurezza’ costituita dalla neutralità dell’Ucraina – era tra gli impegni dell’indipendenza – ma potrebbe mostrare tolleranza sull’estensione di territorio (concesso da Lenin e nel 1954 da Nikita Krusciov con la Crimea) da riprendersi.

A offrire motivo di forte preoccupazione è il ruolo che vuole svolgere l’Europa, segnatamente Francia, Gran Bretagna e Germania. Ritenere, infatti, maturo il tempo di rendere l’Unione Europea capace di assicurare in misura maggiore e coordinatamente la propria sicurezza non è certo sbagliato. Tanto più in un momento di crisi dell’industria europea tra programmazioni sballate, minacce e applicazione di dazi, mercati d’esportazione incerti. Un errore grave, invece, presentare il riarmo come una necessità dettata dal pericolo di una invasione da parte della Russia. Un rischio inesistente, come testimonia la stesso conflitto in Ucraina: circa tre anni e mezzo e il recupero delle regioni russofone è ancora incompleto e addirittura periodicamente vacilla la sicurezza della Crimea, con la base di Sebastopoli.

Tanto più che il compromesso raggiunto su dazi, e non solo, da Ursula von der Leyen e Donald Trump impongono all’Unione europea acquisti di armi e di energia dagli Usa tali da mettere in dubbio lo stesso obiettivo della riconversione industriale nell’intera Unione Europea verso gli armamenti (produzioni ed esportazioni assai remunerative). Un compromesso che non aveva alternative? Preferiamo pensare che l’alternativa è quella che l’Occidente inaugurò con il primo accordo sul disarmo atomico a Washington nel 1987 tra Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov: riportare la Russia nella “comune casa europea”. Si può avere tutta la comprensione possibile verso l’odio accumulato dagli ucraini –segnatamente nei territori allargatasi a ovest – per l’oppressione e l’holodomor che hanno caratterizzato il comunismo sovietico e che ancora nutrono timori.

Ma è avere gli occhi sulla nuca, lo sguardo sul passato e non al futuro. Non è proficuo, né intelligente continuare a rovinare un processo di pacificazione respingendo la Russia invece di riavvicinarla com’è d’altronde nelle aspirazioni dei suoi abitanti, europei come noi. Se solo si riflettesse un tantino sul fatto che persino la Russia sovietica -a dispetto dei suoi tremendi difetti e delle nefandezze compiute -sia stata portatrice di cultura europea e di modernità e di stabilità strategica nel Centrasia… La Russia che già aveva mirato alla Seconda Roma, Costantinopoli, per divenirne la Terza.

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