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02 Settembre 2025 - 11:38
Cina e India provano di nuovo a passare dalla “rivalità alla cooperazione”, come ha sottolineato Xi Jinping nella riunione, a Tianjin, dell’Organizzazione per la cooperazione di Shangai (Sco), cui segue il summit di Pechino in occasione della celebrazione dell’ottantesimo anniversario della vittoria contro gli occupanti giapponesi. Tra parentesi, vittoria fantomatica delle forze comuniste di Mao, le quali assistettero all’indebolimento delle forze nazionaliste di Chiang Kai-shek, quelle sì, impegnate davvero nella resistenza contro l’esercito di Tokyo, tanto provate e afflitte dalla corruzione da dover poi ritirarsi a Taiwan lasciando il Celeste Impero negli artigli di Mao. La mediazione di Vladimir Putin tra il presidente cinese ed il premier indiano Narendra Modi ha avuto successo.
Un’assenza da Pechino settennale, quella del premier, prolungata dagli scontri di confine di cinque anni fa. Un riavvicinamento favorito dal conflitto in Ucraina, di cui New Delhi assetata di energia ha profittato pagando a metà prezzo le forniture russe che l’Europa sdegnosamente ha rifiutato. Un supporto l’ha paradossalmente offerto Donald Trump, con l’imposizione -giustificata economicamente macontroproducente sotto il profilo strategico -di dazi fino al 50% sulle importazioni di prodotti indiani. Ma i dazi oggi ci sono e domani no oppure ridotti al minimo, dipenderà dalle trattative. New Delhi da sempre neutrale ma filo-occidentale grazie all’eredità britannica dell’impalcatura democratica dello Stato e, soprattutto, a causa della minacciosa invadenzaalle frontiere settentrionali della Cina.
Infatti, i pessimi rapporti (culminati negli scontri sull’Ussuri) tra le capitali planetarie del comunismo, Mosca e Pechino,fecero dell’India uno dei massimi acquirenti di armamenti “made in Ussr” (Urss), fabbricate nell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Da allora, buoni rapporti con l’Occidente ma pure con la Russia: meno armi negli ultimi tempi e molta più energia. Insomma, nessuno meglio di Putin poteva mediare tra New Delhi e Pechino. Per l’India un Dragone da tenere, in ogni caso, a bada perché storicamente espansionista e ‘taglieggiatore’lungo le coste e nei dintorni terrestri; che ha ingoiatoTibet e Turkestan orientale-Xinjian (solo per citare di là dalla Mongolia e dai vicini di casa le proiezioni più note). Un Dragone con buone relazioni con l’infido Pakistan; con interessate aperture agli Stati Unitialternate a duri bracci-di-ferro diretti ad un unico scopo, l’ultimo, della compartecipazione alla formazione degli equilibri e dei mercati internazionali.
Lento e inarrestabile il cammino di Pechino, sia sviluppando la svolta diplomatica di matrice kissingeriana degli anni Settanta verso l’ex “tigre di carta” Usa, svolta culminata nella ‘globalizzazione a senso unico’; sia accogliendo a braccia aperta una Russia che irresponsabilmente l’Occidente euro-atlantico respingeva avanzando con una Nato ostile, fino al golpe a Kiev contro un presidente ucraino democraticamente eletto ed equidistante, come ha ricordato il capo del Cremlino. Efino all’attentato al gasdotto North Stream per strappare la rete tedesca tessuta da Mosca e Berlino per raggiungere Pechino attraverso la nuova Via della Seta. L’India aveva già aderito al gruppo Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa ma ampliatosi a Indonesia, Iran, Emirati arabi uniti, Egitto, Etiopia), basato sulla collaborazione economica e con l’intento o la velleità di allontanarsi gradualmente dalla “dipendenza” finanziaria ed economica di Usa ed Ue.
La SCO segna un passo avanti più che significativo: la Cina si pone come ‘primus inter pares’ di un sud globale del mondo alternativo all’Occidente a guida statunitense e ad una Alleanza Atlantica che da oltre un quarto di secolo si è ampliata superando i confini geografici ‘istituzionali’ e nei compiti non più difensiva ma anche offensiva (Serbia, Afghanistan, Iraq, Libia, e ora protesa verso l’Ucraina). Circa venticinque i Paesi -compresi i centrasiatici abbandonati dall’impero russo -aderentialla SCO nella scia di Pechino che accompagna vieppiù l’espansionismo commerciale con l’imperialismo strategico e con un riarmamento convenzionale e nucleare accelerato. Soltanto il futuro, presumibilmente prossimo, ci dirà se e quanto durerà il riavvicinamento fra i due colossi dell’Asia. Le differenze contano, come le diffidenze. Il Pil cinese è più o meno il sestuplo di quello indiano. La SCO raccoglie, sì, più del 40% della popolazione del pianeta però rappresenta appena un quinto del Pilmondiale. Resta che l’Occidente euro-atlantico rischia di perdere un alleato fondamentale nell’Indo-Pacifico, dopo aver gettato Mosca nelle braccia di Pechino per seguire la follìa dei nazionalisti ucraini cui la storia ha insegnato nulla.
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