Cerca

il punto

In Francia non è crisi di sistema ma di statisti

Macron è stato non il “nuovo che avanza” ma il colpo di grazia

In Francia non è crisi di sistema ma di statisti

Non è crisi di sistema in Francia, ma di statisti. E’ questa la semplice verità, dopo che il penultimo governo - della lunghissima, incredibile, penosa serie macroniana - è durato appena una dozzina di ore. E con l’ultimo che pare un riflesso fallimentare del precedente. E’ di Emmanuel Macron e del suo cerchio di potere che la Francia è arcistufa. Il suo neocentrismo da Quarta Repubblica sta distruggendo il Paese. Manca – almeno finora non se ne scorge il profilo - un Charles de Gaulle a correggerlo. Ma come a fine degli anni Cinquanta del secolo scorso sarà poi il voto a impedire che la società e le strutture dello Stato vengano aggredite dalle ‘termiti’ e divorate dall’interno, assieme alla convivenza sociale e politica. Il sistema della Quinta Repubblica ha dimostrato finora di adeguarsi alla sfida dei tempi e di poter assicurare la stabilità, come ha già dimostrato il ‘settennato’ presidenziale rapportato al ‘quinquennato’ parlamentare.

Il centro politico non porta fortuna alla Francia. Lo comprese bene il generale de Gaulle, riflettendo su Parigi e Roma e Washington. Il suo sistema semipresidenziale (potere preminente al capo di Stato ma sorvegliato ed eventualmente ‘bilanciato’ dall’Assemblea) si adattava a una Francia non più imperiale - perciò la differenza con il presidenzialismo degli Usa – ma che intendeva svolgere un ruolo marcato nella ‘confederazione’ europea (l’ “Europa delle nazioni”). E il sistema ha assicurato stabilità e prestigio internazionale alla Francia. Gli permise, infatti, di calmierare la rissosità partitica e prospettare ai concittadini un equilibrio politico ed istituzionale duraturo nell’alternanza al potere. Assicurò a Parigi spazi di autonomia all’interno di un’Alleanza Atlantica ‘made in Usa’, che ne consentisse altri nelle relazioni internazionali, con la creazione di una forza militare nucleare indipendente e centrali atomiche a nutrire di energia il Paese. Riuscì a contenere i rischi di guerra civile offrendo l’indipendenza all’Algeria, che non era colonia ma Dipartimento francese con suoi esponenti presenti all’interno dell’Assemblea: un voltafaccia inaspettato verso i cosiddetti pieds-noirs (poco meno di un milione gli europei, oltre ai francesi, molti i figli di emigrati italiani e spagnoli). E attraverso i referendum la Francia si liberò, nel 1968, dei conati rivoluzionari di un “Sessantotto” che perdeva i caratteri libertari e l’anno dopo indirettamente dello stesso de Gaulle, che aveva svolto ormai la sua opera.

Insomma, in circa un quarto di secolo, dal 1958 al 1981,con la nascita della Quinta Repubblica e la riforma costituzionale del 1962 sull’elezione diretta del capo di Stato, la Francia si è decolonizzata ma conservando un forte ruolo politico ed economico in Africa; ha rafforzato la propria indipendenza militare all’interno della Nato; ha rafforzato le basi, della nuova comunità europea stringendo un rapporto speciale con la Germania e tenendo fuori la Gran Bretagna ritenuta storicamente diffidente verso l’Europa continentale e troppo legata agli Usa. Al Paese era stata assicurata una stabilità che, dopo l’abbandono di de Gaulle nel 1969, si è protratta con le presidenze di George Pompidou e di Giscard d’Estaing (centrista ma alleato dei gollisti) fino al 1981. Stabilità che ha resistito poi alle tre fasi di “coabitazione” tra presidenti e premier espressione di schieramenti politici contrapposti: tra Francois Mitterrand e Jacques Chirac, tra Mitterrand ed Édouard Balladur, tra Chirac e Lionel Jospin. Prevaleva su tutto e tutti il senso dello Stato e il dovere di servirlo.

Fu, tuttavia, l’opportunità di evitare le coabitazioni e rendere più coerente e spedito il corso della politica che, a fine settembre del 2000, con un referendum il ‘settennato’ presidenziale venne rapportato al ‘quinquennato’ parlamentare. Il presidente avrebbe così potuto, all’indomani della sua elezione, “trascinare” il proprio schieramento politico alla vittoria nell’Assemblea. Il sistema della Quinta Repubblica era capace di adeguarsi e rinnovarsi.

Nel 2007 terminava la doppia presidenza (settennato più quinquennato) di Chirac. E seguivano due presidenze quasi catastrofiche per la Francia: del gollista Nicolas Sarkozy e del socialista Francois Hollande. Il primo lo si ricorda segnatamente per aver innescato assieme a Barak Obama la tragedia della Libia e una recente condanna per corruzione. Il secondo per le scorribande notturne in scooter a Parigi e i bombardamenti contro la Siria già in ginocchio dal terrorismo dell’Isis. Un decennio che ha rivelato ai francesi non la crisi del sistema – che ha retto nonostante loro -- ma la mancanza di statisti dalla caratura dei predecessori. Due le principali conseguenze: 1) Crollo delle ormai logore barriere elettorali tra le due destre. Il fronte gollista si screditava e indeboliva progressivamente, ma per ingrossare una destra che con Marine Le Pen si liberava – attraverso un coraggioso parricidio politico – delle tradizionali bibbie ed uniformi. (Mi sono spesso tornate alla mente le parole di Jean-Marie Le Pen che mi prefigurò, durante un’intervista nel lontano 1994, la futura e inarrestabile avanzata del suo partito: c’è stata, sì, ma perché è politicamente maturato adeguandosi ai tempi). 2) A sinistra prendeva corpo dal cadavere comunista (del partito imbalsamato e dei gruppi trotskysti) la France Insoumise -- movimento prima libertario poi vieppiù radicale -- a contendere ai socialisti la rappresentanza del fronte ‘progressista’, iniziando ad occuparne lo spazio più estremo.

Nel 2017 l’elezione di Emmanuel Macron era stato applaudita dai cittadini come via di fuga non dall’alternanza tra centrodestra e centrosinistra -- come venne spiegato a destra e a manca da numerosi presunti ‘opinion maker’ -- bensì da un vecchio rituale che vedeva emarginate la destra ex-collaborazionista e la sinistra post-comunista. Erano state modeste entità politiche ma utili ai gollisti e ai socialisti per affermarsi in uno schema di centrodestra e centrosinistra che, però, appariva vetusto. Non nei volti dei suoi attori, protagonisti e comparse, bensì nella realtà politica che s’era determinata in un Paese e in una Europa profondamente cambiati e su di un palcoscenico planetario molto più dinamico e mutevole.

Insomma, non era certo un neocentrismo che campasse di rendita tra gollisti e socialisti, risucchiando voti dalle aree del centrodestra e del centrosinistra, la nuova ricetta politica. Non sarebbe stato il neocentrismo macroniano a raccogliere i consensi in fuga dal centrodestra gollista e dal centrosinistra socialista. Macron è stato per la Francia non il ‘nuovo che avanza’ ma il colpo di grazia dopo due penose presidenze, dopo gli inadeguati leader dei due fronti politici tradizionali e dopo le novità affermatesi a destra e a sinistra. L’elezione e la rielezione di Macron sono avvenute grazie al sistema che impone la stabilità, con un vincitore ed un vinto, e il suo successo è stato ottenuto grazie alla desistenza della sinistra. Macron ha vinto ed ha governato (male) finché il suo centrismo da rendita non ha finito per gonfiare destra e sinistra nell’elettorato e in parlamento. E ciò che negli ultimi anni ci mostra l’inquilino pro-tempore dell’Eliseo è null’altro che l’estrema modestia di un leader impegnato nel tentativo di sopravvivere politicamente ricorrendo a mercanteggiamenti da Quarta Repubblica.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Roma

Caratteri rimanenti: 400

Logo Federazione Italiana Liberi Editori