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Il caso
11 Giugno 2025 - 07:51
Nel riquadro la Ferrari sequestrata ieri mattina all’avvocato Vincenzo Sangiovanni
NAPOLI. Novemila euro a pratica per favorire l’immigrazione clandestina di extracomunitari, un giro d’affari da due milioni di euro, 45 indagati tra cui un poliziotto in servizio al commissariato Poggioreale e una vigilessa di Bolzano, amica di uno degli avvocati a capo dell’organizzazione.
Parlano chiaro i numeri dell’inchiesta della Dda, su indagini della Squadra mobile della questura (sezioni Criminalità stranieri e Reati contro la pubblica amministrazione) e del commissariato di San Giuseppe Vesuviano (squadra investigativa), culminata nelle misure cautelari eseguite all’alba di ieri: 11 in carcere, 23 ai domiciliari, 11 con obbligo di firma e un indagato a piede libero.
Nell’indagine compare pure l’ombra dei Fabbrocino per i rapporti che avrebbero avuto due dei tre legali arrestati con il fratello di un esponente di spicco del clan. Per tutti va sottolineata la presunzione d’innocenza fino all’eventuale condanna definitiva.
L’operazione è stata illustrata in conferenza stampa dal procuratore Nicola Gratteri alla presenza del pm Giuseppe Visone, che ha brillantemente coordinato le indagini con l’aggiunto Del Prete, del questore Maurizio Agricola e del dirigente della Mobile Giovanni Leuci.
Ad agire erano tre organizzazioni collegate, in una delle quali spicca la figura dell’avvocato Vincenzo Sangiovanni, considerato capo e promotore, al quale è stata sequestrata una fiammante Ferrari blu.
Approfittando dei buchi normativi del “decreto flussi” e attraverso imprenditori compiacenti o ignari, gli immigrati venivano registrati e regolarizzati con il click day su presupposti falsi: nulla osta, permessi di soggiorno e assunzioni.
Le pratiche erano gestite dai Caf facenti capo a Sangiovanni e ai colleghi avvocati Gaetano Cola e Aniello Annunziata, che garantivano dietro compenso salato l’ingresso in Italia. L’organizzazione aveva come clienti, vittime consapevoli e a volte inconsapevoli, soprattutto cittadini del Bangladesh nei comuni di San Giuseppe Vesuviano e Ottaviano.
Le accuse, a seconda delle varie posizioni, comprendono associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, estorsione aggravata dal metodo mafioso, falso ideologico e truffa. L’organizzazione si avvaleva dell’uso illecito di identità digitali (Spid), tra cui quella di un appartenente alle forze dell’ordine, per presentare migliaia di domande di nulla osta.
«Le istanze venivano corredate da documentazione ideologicamente falsa, in particolare sull’idoneità degli alloggi e sull’esistenza di un’effettiva volontà di assunzione da parte di imprenditori». Le pratiche, se accolte nei limiti temporali del cosiddetto click day, consentivano l’ingresso illegale degli stranieri.
Il sistema era articolato: un primo livello operativo composto da avvocati e Caf, un secondo formato da imprenditori compiacenti che prestavano la facciata di aziende disponibili ad assumere e un terzo rappresentato dagli extracomunitari disposti a pagare cifre elevate per ottenere i documenti. A inserire i dati contribuivano il poliziotto Mario Nippoli e la vigilessa Melanie Seeber, amica di Sangiovanni. Tra gli indagati figura anche il padre Nunzio, fedele collaboratore.
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