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10 Agosto 2022 - 12:49
Se il ritorno alla Terra bella e verde, sana e piena di vita dei Greci e dei Romani è solo una ipotesi assurda, non è però fuori luogo sperare in qualche recupero e nella conservazione di quanto di buono essa ancora possiede. Il progetto dello “sviluppo sostenibile” resta il punto di partenza di ogni operazione di domani per il recupero del rapporto uomo – natura. A beneficiare di questa nuova “cultura” saranno sia l’ambiente sia l’uomo, perché non dobbiamo dimenticare che gli attacchi dell’uomo al mondo circostante si risolvono quasi sempre in un boomerang molto pericoloso. L’alta qualità della nostra vita e la richiesta ossessiva di novità e modernizzazione impongono uno sperpero di risorse che è giunto ormai al limite. L’aria che respiriamo è, spesso, un veleno che ci tramortisce e le cui conseguenze avvertiamo con l’aumento di malattie croniche o inguaribili. Agli albori di questo problema, uno tra gli autori che, in ambito europeo, ha saputo meglio descrivere il violento impatto della Rivoluzione Industriale sul contesto ambientale ed umano è sicuramente Charles Dickens. Scrittore inglese ed eminente narratore dell’Età vittoriana, Dickens ha rappresentato criticamente le conseguenze della rivoluzione industriale in Inghilterra, spesso denunciando le condizioni della metropoli londinese. Nel suo romanzo “Tempi difficili”, pubblicato nel 1854, l’Autore inglese ha descritto la situazione di una città immaginaria, Coketown, la città del carbone, in cui uomini abbagliati dal desiderio di guadagno ed incapaci di agire senza la previsione di eventuali tornaconti, si scontrano con persone disinteressate e ancora capaci di comprendere il valore della solidarietà. In questo romanzo l’Autore traccia efficacemente le linee generali delle città industriali dell’Ottocento, composte da case e da fabbriche con ciminiere che producono colonne di fumo ed emissioni tali da provocare la nausea degli abitanti. Dickens descrive tutto ciò con una sottile ironia, affermando il contrario di ciò che vuole realmente intendere. Infatti, sosteneva che Coketown “appariva ravvolta in una sua atmosfera speciale”, e, affermando ciò, voleva indicare la coltre di smog che sovrastava la città. Proprio attraverso questa ironia, l’Autore conduce la sua sferzante critica contro quei capitani d’industria che, per avidità di denaro o per incapacità, hanno determinato condizioni di estremo degrado ambientale ed hanno posto in essere un intollerabile sfruttamento dei propri simili. Attraverso le sue parole possiamo comprendere come la ricerca del massimo profitto e l’insensibilità sociale, oltre all’incapacità, siano state le cause che hanno determinato il degrado delle città industriali dell’Ottocento. Inoltre, risulta essere proprio il carbone la fonte energetica principale che consentiva il funzionamento di Coketown. A questa conclusione ci conducono non solo le conoscenze storiche sulla Prima rivoluzione industriale o le descrizioni, interne al romanzo, delle montagne di carbone, ma anche l’analisi del nome che Dickens ha voluto attribuire all’immaginaria città in cui ha ambientato “Tempi difficili”.
In definitiva, dalle pagine dell’Autore inglese emerge chiaramente come la convinzione che l’inquinamento non sia una necessaria ed ineliminabile conseguenza dello sviluppo industriale, ma l’effetto di una strategia politica e sociale miope, perché volta a tutelare il profitto immediato di pochi rispetto alle esigenze della collettività. Ed è proprio questa l’attualità del pensiero di Charles Dickens, l’aver voluto evidenziare le responsabilità dirette dell’uomo che da un lato tenta di dominare la natura dall’alto dei suoi mezzi, mentre dall’altro, questo fortissimo senso di predominio della natura dimostra tutta la sua incapacità cagionata dall’uso irresponsabile de mezzi.
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