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Vannacci, un valoroso ufficiale diventato un temibile criminale

I precedenti delle attuali peripezie giudiziarie del Generale di Divisione Roberto Vannacci sono noti. Nella scorsa estate l’alto ufficiale diede alle stampe un libro intitolato Il mondo al contrario. Si tratta d’una cospicua silloge d’osservazioni ascrivibili alla categoria del luogo comune, spesso anche della banalità. In varie parti, come sempre per i luoghi comuni che tali sono appunto perché comuni, anche condivisibili; in tante altre, frutto di pensiero troppo acritico per prestarsi ad un serio confronto d’idee; e dunque sarebbe stato da attendersi che quel volume rimanesse ignorato. Invece no: per un fenomeno di contagio collettivo, pagine frutto di pregiudizi spesso anche inconsapevoli e di sicuro non verificati nel confronto con idee più articolate ed in linea con una cultura avanzata come dovrebbe essere quella della civiltà occidentale, sono divenute un manifesto. Sono diventate in altri tempi il simbolo d’un modo di pensare intollerante, a digiuno di senso storico, fermo a valori superati da almeno cento anni, ma che evidentemente continuano a scorrere, indisturbati e condivisi, perché incrocianti istintualità presenti nell’animo umano. Ovviamente, questo è solo il mio punto di veduta che so ampiamente criticabile e criticato, ma tant’è. Non è però di ciò che qui vorrei parlare, anche se la premessa serve a comprendere. Il Generale Vannacci è conseguentemente divenuto un simbolo politico ed è stato anche identificato da un partito che di alcune o molte di quelle idee fa cavallo di battaglia (ed anche questo è storia con cui è dovere confrontarsi con umiltà). Tutto legittimo, e direi anche profondamente democratico. Lo strano però è questo: il Generale Vannacci, sino a ieri l’altro era considerato ufficiale tra i più valorosi dell’esercito, impiegato in importanti azioni nei teatri bellici più esposti, in Ruanda, Yemen, Afghanistan, Somalia, Iraq e altrove. Era dunque ritenuto ufficiale di punta dell’Esercito, e non per nulla insignito del suo altro grado in precoce età. Un grado che la gran parte degli ufficiali nemmeno raggiungono. Bene, dal momento stesso in cui la sua persona ha acquisito spessore politico, questo militare d’élite s’è d’emblée trasformato in un temibile criminale da cui tenersi alla larga. Le imputazioni hanno cominciato a fioccare come neve in una giornata che mena male. Si è trasformato in un truffatore ed anche in un peculatore. Indagini, guarda caso avviate dal suo successore quale addetto militare presso l’Ambasciata italiana a Mosca, a quel che si comprende dopo l’uscita del libro. E l’accusa fonderebbe sull’utilizzazione impropria dell’auto di servizio, nell’aver incassato indennità per la presenza della famiglia in sede, una presenza contestata; per l’uso improprio, addirittura dell’auto di servizio. Ma non basta. Perché l’alto graduato è stato anche, più di recente, attinto da altra contestazione, quella d’istigazione all’odio raziale, per la ricordata colluvie di luoghi comuni presenti nel suo libro di successo. Un reato che avrebbe reso lieto il Cardinal Roberto Bellarmino, tanto vago è nei suoi contorni e tanto investe la sfera dell’opinione, quella che dovrebbe essere latamente garantita dall’articolo 21 della Costituzione. Ma nemmeno qui si ferma l’eroica battaglia contro l’infame ufficiale. Egli è stato anche raggiunto da un procedimento disciplinare, evidentemente per le medesime pericolosissime opinioni espresse nel volume, che avrebbero messo a rischio l’onore delle Forze Armate. Sanzioncina non dappoco, perché egli è stato sospeso dalle funzioni e dallo stipendio (ne percepirà la metà) per non meno di mesi 11. Ovviamente, carriera brillante, imnediatamente andata in fumo. Perché soffermarci su questa vicenda? Perché è emblematica dell’autoritarismo che infiltra il nostro Paese. Un Paese in cui non si esita a perseguitare una persona allorquando assume posizioni politicamente non gradite o si scontra con potenti di turno. Un autoritarismo, sia chiaro, che è fenomeno ben diverso da quello dell’Autorità, perché l’Autorità, quand’è tale, crea ordine, assicura prevedibilità, garantisce la tranquillità. Quando è autoritarismo, crea l’imprevedibilità, espone all’incerto, ingenera timore. Ora, se questo Generale è un tal malfattore che nel breve periodo in cui è stato in quel di Mosca è riuscito a macchiarsi di tanto numerosi e concentrati crimini, e soprattutto infamanti per un alto grado delle Forze Armate, c’è da chiedersi come egli abbia mai potuto acquisire sì prestigiose stellette, senza che nessuno se ne avvedesse – per di più in un ambiente altamente gerarchizzato e pervasivo, dove difficilmente sfugge una notizia agli Alti Comandi, forti di intelligence interne e di mille mezzi per vigilare. Indubbiamente, chi appena giunto a Mosca pensa a riempirsi le tasche con pranzi fittiziamente organizzati e ad incamerare indennizzi non dovuti grazie ad una famiglia fantasma è, a dir niente, un poco di buono. E poiché, per quanto avvelenata sia, l’aria di Mosca non pare abbia virtù taumaturgiche, c’è ben da credere che, se le accuse fossero fondate, tale sarebbe sempre stato e che a rubacchiare sarebbe sempre stato dedito, a Mosca, come a Roma o come a Mogadiscio. Ma guarda un po’ la moira, si viene a scoprire che tra le file dell’Esercito militasse una tal figura di malfattore, proprio quando costui è divenuto un personaggio pubblico con possibili aspirazioni politiche. Non ho alcuna simpatia per il Generale Vannacci, le sue idee m’infastidiscono a pelle. Ma questo non vuol dire che possiamo voltarci dal lato opposto e non comprendere in qual razza mai di Paese viviamo, un Paese dove sotto l’ombra e la protezione delle forme giuridiche, si fa di tutto, senza vergogna. Si finge di non vedere quel che c’è ovvero si vede con acume linceo quel che non c’è. Da averne davvero timore, come appunto nei Paesi autoritari senza una vera, rispettabile autorità.

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