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03 Aprile 2018 - 16:36
È accezione comune che napoletani sono tutti coloro che albergano fra il Tirreno, il Vesuvio, la Solfatara e tutto quell'hinterland, una volta verde, oggi caotico, frantumato e disonorato dalla mano dell'uomo, coacervo di monnezza e tossine, per finire alle isole. Insomma, basta digitare una residenza nella provincia di Napoli e limitrofi per essere chiamato “napoletano”. Nell’immaginario collettivo, se non fosse per la cocciuta resistenza degli altri “popoli” meridionali, chiunque provenga o viva al disotto del Garigliano è da considerarsi napoletano. Forse per tale oscuro motivo, il Napoli non gode nel meridione di tanti tifosi come Juve, Milan o Inter, anzi è perfino odiato in alcune province campane! Perché viene ricordata e “subìta” ancora come la capitale opulenta e mascalzona del regno borbonico. Quel “santo reame” dove in un paio di occasioni, i re, per rendere più inossidabile la leggenda del loro diritto divino, nella settimana pasquale, si sceglievano una dozzina di poveri cristi, li rimpinzavano di cibi “esagerati ed insoliti” poi lavavano loro i piedi, parlando in dialetto per accentuare la propria napoletanità, in antitesi alla provenienza imperialista e colonialista spagnola. Dalle cronache dell’impresa dei Mille, raramente i soldati borbonici risultano apostrofati come tali, a scapito dell'abitudinario “napoletani”, che rendeva ad arte maggior giustizia dell’anelito popolare libertario e rivoluzionario a cui Garibaldi aveva sentito il dovere di correre in aiuto. Parlare di napoletani invece che borbonici sollevava la coscienza politica di intere regioni, dalla “borbonica” Sicilia dei nobili latifondisti, ai baroni di Calabria, Puglia e Basilicata, che avevano subìto il giogo secolare della corte reale napoletana. Negli anni, il peso di questa malintesa definizione di napoletanità ha causato danni ulteriori e falsi ideologici. Il meridione e la sua questione irrisolta sono stati il peggior viatico per le solite accuse di assistenzialismo a pioggia e padrinati di stampo partenopeo, come se tutto avesse inizio e fine a Napoli. La promessa di giustizia sociale è stata offerta al popolo disperato da bande di sbandati ex borbonici e liquidata dai nuovi padroni come brigantaggio. In suo nome sono stati commessi assassinii, rasi al suolo villaggi e contadi, e si è costruito così l'alibi dell'appoggio popolare alla camorra, con i tragici e disonorevoli risultati di oggi. Perfino De Maio diventa "un altro napoletano". Ma lasciamo tali "elucubrazioni" sociopolitiche ai tanti commentatori "di giornata", troppo si è scritto ed inutilmente. Già 40 anni fa, mi resi conto di quanto generica fosse la napoletanità. A Boston, nel North End, fui condotto in un noto ristorante famoso per il suo ragù napoletano. La pietanza risultò in una manciata di spaghetti affioranti in un lago di passata acida di pomodoro, con foglie di basilico a mò di ninfee. Perplesso, chiesi di conoscere il proprietario, e costui, sui 50 anni, mi disse di provenire dal Cilento, da una famiglia di pastori bravi a confezionare ricotta e caciotte. A Boston tutti lo decantavano come napoletano. La poetica e la musica, l'anima ospitale e altruistica, l'esaltazione dell'amore e del sacrifico estremo, il pensiero filosofico che rappresentano solo in parte il senso intrinseco della napoletanita non possono essere contrabbandati con la dozzinale decadenza di questi tempi, dove orde barbariche, e lazzari "rivestiti" calano in città dalle periferie ghettizzate, e poichè qualcuno a Roma ha deciso su nuove aree metropolitane, vengono considerati napoletani. Siamo Gomorra, ma non abbiamo un tasso di criminalità superiore a Roma o Milano. Non dovremmo certo essere orgogliosi di tale affermazione! La napoletanità è molto più conveniente se sbandierata al di fuori di Napoli. "Sono napoletano, e torno sempre volentieri quando posso". È la frase più fuorviante che si possa ascoltare in giro per il mondo e sui media, perchè nasconde il resto: "Ma cerco di andarmene quanto prima". Tale empatia non appartiene più a questa Napoli, essa è fuggita via con Eduardo, con i suoi scrittori, i registi, il popolo che sciama via, è un modo di vivere esportato per espatrio o per volontario esilio, è un'idea, un sentimento da esprimere in lontananza, per non confondere la memoria della sua immagine o emozione, con lo squallore e il dolore attuale. Qui è diventata solo un peso insostenibile, buona Pasqua.
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