Cerca

L'opinione

L’indifferenza dei cittadini nei confronti dell’Europa

Gentile Direttore, nella mia precedente lettera del giovedì facevo un appello ai cittadini perché andassero a votare, malgrado la confusione totale sulle e nelle liste di ogni partito o movimento, ed anche il mancato dibattito tra i contendenti, ridottosi ad una “ospitata” dei singoli nei talk-show giornalieri che la tv pubblica e privata ci propina con ostinata continuità. Motivavo il mio appello al principio fondamentale che almeno una volta ci veniva consentito in una competizione politica di esprimere la preferenza, ossia scrivere il nome, fino a tre, del candidato/a, senza sottostare all’ignobile legge elettorale nazionale, dove si vota solo per la lista, non conoscendo il nome o i nomi di chi verrà eletto. Era il trionfo della ver a democrazia, ritenendo che tra le numerose liste vi fosse almeno una persona che potesse suscitare l’interesse dell’elettore per le supposte qualità. Come temevo, purtroppo, l’esito delle recenti Europee ha visto più della metà dei cittadini che non sono andati nemmeno ai seggi, mostrando ancora di più quanto sia pericolosa la deriva dell’indifferenza nel nostro Paese verso la politica e, nel caso specifico, verso l’Europa in genere. Colpa della dissoluzione del tradizionale modo di far politica, quando si recava alle urne più del 90% dei cittadini; colpa anche di una cosiddetta “classe dirigente politica” dove si fa una certa fatica a trovare un “cavallo di razza”, come si usava dire. Colpa, però, anche dei mezzi di diffusione di massa e dell’invadenza dei messaggi, messaggini, follower, influencer che impazzano sui nostri telefonini, orientando la massa, senza che vi sia qualcuno che si prenda la briga di tenere almeno una volta a settimana una lezione di educazione civica, spiegando bene cosa significa la libertà, che si concretizza soprattutto nell’espressione del voto. Rimane veramente “indigesto” per chi ha almeno i “fondamentali“ della democrazia il termine della decantata vittoria, espressa in percentuale. L’aver preso il 10%, 20%, 30% dei voti non ha alcun significato di vittoria, se non si pone questo risultato al paragone del numero dei votanti; 20% di che, per esempio? Dei circa 800mila cittadini napoletani aventi diritto al voto o di quanti hanno realmente hanno votato? Il 42%. Ergo, quel 20% che fa gridare alla vittoria è commisurato a nemmeno 65mila voti. E si parla ancora di “campi larghi”, “campi lunghi”, “campetti” e così via. Volendo, comunque, “turarsi il naso”, come diceva Indro Montanelli, ed analizzando il voto della minoranza degli italiani, non c’è dubbio che i vincitori, ovvero le vincitrici di queste elezioni sono la Meloni e la Schlein, ed il vero sconfitto è l’ex “avvocato del Popolo” Conte. Martedi sul Corriere della Sera è apparso in prima pagina un bel “quadretto” del valente giornalista Massimo Gramellini nella rubrica chiamata “ il caffè”: “Non le hanno viste arrivare” è titolato l’articolo. L’analisi di Gramellini è di una perfetta logica. L’autore parla di una specie di “alleanza” tra le due donne, divise dalle idee, ma unite da un interesse: “Stroncare le velleità dei maschi-alfetta che hanno da tempo spodestato”. Certo, la legge elettorale, proporzionale, che spinge a contendere i voti più all’alleato, che all’avversario, ha caratterizzato il pragmatismo che accomuna le due leader. I “maschi-alfetta”, continua l’autore, non ci hanno capito niente; magari qualcuno avrà anche ironizzato sulle due. Meloni studiosissima di tutti i provvedimenti, Schlein in giro per l’Italia con la media di quattro comizi a giornata. Lunedi 10, all’indomani dei risultati elettorali, le contendenti hanno reso pubblica una loro telefonata, dove ci si congratulava a vicenda per il risultato ottenuto dai loro Partiti. È il sale della democrazia, legittimarsi a vicenda. Ci volevano due donne, ed io mi convinco sempre di più di andare orgoglioso della mia personale lotta quando ero Difensore civico della Campania, imponendo con poteri sostitutivi ai sindaci di rispettare le “quote di genere” nelle loro Giunte, che, poi, in pratica, significava di includere tra gli assessori almeno il 40% di donne. Credo che se avessimo avuto, anche nel passato, più donne nell’Esecutivo, a cominciare dal Presidente del Consiglio, oggi non avremmo sul nostro groppone, su quello dei figli, dei nipoti ed anche pronipoti, il debito pubblico spaventoso di circa 3.000 miliardi di euro. Una donna sa bene che non può spendere per la propria famiglia più di quanto entra mensilmente. Può fare anche un debito, ma prima si accerta che potrà pagarlo, magari a rate. Certo, non avrebbe concesso ad alcuno con i fondi conservati un credito del 110% , magari chiamandolo “superbonus”, per rendere più appetibile il “regalo”.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Roma

Caratteri rimanenti: 400

Logo Federazione Italiana Liberi Editori