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L'opinione

Europee: l’astensionismo è un fenomeno inarrestabile

Le elezioni europee hanno consegnato un quadro previsto in larga parte dai sondaggisti poco prima del voto. Partiamo dall’astensionismo. Un fenomeno inarrestabile ed inversamente proporzionale all’assenza di politica che non sembra avere più appeal. Il disinteresse quasi senza ritorno verso la partecipazione al voto è coinciso con l’uscita di scena di Berlusconi dall’agone politico ed il primo vero trionfo dei 5 stelle (2013). A Berlusconi va ascritto il merito di essere stato il catalizzatore di consenso del proprio perimetro e la calamita del dissenso nell’altro campo, alimentatosi appunto di antiberlusconismo militante. Passato quel lungo momento di contrapposizione, oggi la politica suscita lo stesso interesse di una puntata di Discovery Channel sul calabrone asiatico. Anzi, vive di cronaca, vero alimentatore degli istinti primordiali dell’opinione pubblica che cerca l’approdo più naturale in un movimento/ partito capace di assecondarne gli umori. Le candidature strumentali di Vannacci e Salis del mese scorso sono gli esempi più immediati di ciò che molti studiosi definiscono Mediacrazia. Lo strano centrodestra esce rinfrancato dalle elezioni più per il rafforzamento della leadership della presidente del Consiglio che per i partner minori, ridimensionati già nelle elezioni generali del 2022. L’autunno stavolta sarà davvero caldo e la Premier dovrà vedersela con la coperta corta dei conti (magri). In ogni caso, la stampa e i salotti televisivi assieme agli osservatori delle cose politiche si astengono (anche loro) dall’evidenziare che i pochi fondi a disposizione condizioneranno ancora di più le scelte economiche e l’allocazione di risorse per qualche “esigenza” in luogo di altre; De Luca in Campania ne sa qualcosa. Lo pseudo centrosinistra non sta meglio. Il Pd guadagna consensi grazie alle candidature forti dei territori, grazie alla spinta dei portatori di voti, i cosiddetti cacicchi o stimolatori del consenso. Insomma, la giovane segretaria sembra aver sposato il senso pratico a dispetto della predica nuovista della vittoria delle primarie che le consegnarono il posto di comando. I 5 stelle a guida Conte sono vittima dell’astensionismo molto marcato al Sud e credo che i correttivi della loro politica debbano partire dall’azzeramento della loro leadership che - francamente - nulla ha apportato alla causa e alle scelte/non scelte del movimento. L’Alleanza Verdi sinistra ha goduto soprattutto del voto giovane. Un dato su tutti risalta all’occhio, il voto dei fuori sede che hanno fatto in tempo a registrarsi è andato per il 40% al mix rosso-verde. Le dolenti note finali sono per i riformisti (liberali, democratici, socialisti e altro) rimasti senza casa per via del settarismo dei partners potenziali di quel campo che potrebbe invece dare legittimità di esistenza al 10% dell’elettorato. Le recenti fughe in avanti terzopoliste non fanno presagire nulla di buono. Valga per loro una delle migliori battute di Churchill: “Tutti gli uomini commettono errori, ma solo i grandi imparano da essi”. Nei primi anni del nuovo secolo, un grande ex ministro degli Esteri, Gianni de Michelis, immaginava una scomposizione e ricomposizione dei poli, cioè una emancipazione dal bipolarismo italiano coatto che tende a imprigionare o mortificare le energie migliori. Ecco, partirei da quella premessa prima di parlare di altri e improbabili poli. Sarebbe necessario dar vita ad un rassemblement riformista, in grado di partorire idee e riformare la politica, capace di assemblare proposte politiche compatibili tra forze o culture diverse, capace di dare o immaginare il futuro, tutte però unite dalla medesima visione in politica estera, cosa che difetta in entrambe le attuali finte coalizioni. Una diversità che fa male e tanto alla politica interna e al Paese intero.

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