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L'opinione

Superbonus e regole Ue: la tenaglia sulla crescita

A nascondersi. Qualunque politico in una qualunque Nazione che avesse varato una norma in grado di produrre una perdita secca di 45 miliardi a spese dei contribuenti, avrebbe avuto bisogno di un buon nascondiglio. Ovunque, ma non in Italia. La voragine nel bilancio pubblico prodotta dal Superbonus continua ad aggravarsi. L’ultima ricerca targata Banca d’Italia testimonia come quella voluta dal Governo Pd5 Stelle sia stata una misura disastrosa, che è costata 170 miliardi di euro dal 2021 al 2023 e che ha letteralmente bruciato circa tre punti di Pil l’anno. Le agevolazioni fuori da ogni logica economica, insieme alla cessione illimitata dei crediti d’imposta, hanno prodotto una perdita netta di 45 miliardi. Dunque era falso che il Superbonus si sarebbe ripagato con la crescita che avrebbe generato. I fini scienziati della politica e dell’economia che misero in piedi quella norma dovrebbero almeno scusarsi: sono state bruciate ingenti risorse che potevano essere investite in meno tasse, nella scuola o nella sanità. Inoltre, aggravando fortemente il disavanzo, la misura ha contribuito in maniera decisiva all’apertura della procedura d’infrazione dell’Ue nei confronti dell’Italia per eccesso di deficit. Una situazione che ha appena illustrato l’Ufficio parlamentare di bilancio, affermando che il deficit nel 2023 «è risultato superiore al 5,3% atteso nelle stime del settembre scorso a causa, soprattutto, degli effetti del Superbonus». Parole che spazzano via anni di propaganda sul «gratuitamente» e l’illusione dei pasti gratis. Un’operazione per raccattare qualche voto, ma che gli italiani continueranno a pagare a caro prezzo per chissà quanto tempo ancora. Il tutto fatto togliendo ai più per dare ai meno, per giunta i meno bisognosi. Insomma, un capolavoro degno di un Robin Hood al contrario. Oggi la Commissione Ue invierà ai Governi la “traiettoria tecnica” di risanamento dei conti pubblici prevista dalle nuove regole sul Patto di stabilità, che servirà da base per i negoziati con l’Italia sugli obiettivi da raggiungere nei prossimi anni. Se l’applicazione delle nuove norme si rivelasse eccessivamente fiscale, il rischio sarebbe quello di colpire la nostra crescita. E senza crescita non potremmo ridurre il rapporto tra deficit e Pil. Sia chiaro: noi abbiamo certamente il dovere di aumentare la produttività, mettere a terra gli investimenti e tagliare gli sprechi, ma i 10 miliardi necessari per coprire la correzione imposta dalle regole europee rischiano di essere un’ipoteca pesante sulla prossima manovra economica. È auspicabile, quindi, che nel negoziato l’Italia ottenga la definizione di una traiettoria lunga. Quel che è certo, però, è che il nostro debito pubblico sarà ulteriormente gonfiato nei prossimi anni proprio per effetto dell’aumento degli incentivi fiscali al settore edile, che complessivamente sono stati pari a 230 miliardi negli ultimi tre anni. Tali incentivi, che hanno preso la forma di crediti d’imposta, si tradurranno in maggiori esigenze di finanziamento da parte dello Stato quando verranno rivendicati. Il Governo è quindi chiamato a muoversi su un sentiero strettissimo: da un lato mettere sotto controllo la spesa, dall’altro indirizzare le risorse residue per massimizzarne l’effetto in termini di Pil. Fa specie il fatto che questi sedicenti paladini del “bene comune” continuino sfacciatamente a difendere le loro posizioni, senza arrossire almeno un po’. Nel confermare i danni di quel provvedimento scellerato, Bankitalia osserva che «si stima che circa un quarto della spesa relativa agli investimenti sussidiati sarebbe stata effettuata anche in assenza degli incentivi». Una frase da scolpire sulla tomba del Superbonus. Qualcuno spieghi ai grillini e ai loro amici piddini appena ritrovati che la ricchezza prodotta non consiste nella maggiore spesa pubblica in deficit e a debito, ma nella capacità di trasformare investimenti e lavoro in maggiore valore di quel che costano. Proprio per questo il Superbonus è stato un fallimento. 

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