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L'opinione

La legge approvata non toglie nulla al Sud per darlo al Nord

L’Italia è unica e indivisibile, con le sue peculiarità territoriali, le sue bellezze, la sua cultura, i suoi punti di forza e di debolezza

Gentile Direttore, ho letto con molta attenzione le tante riflessioni di questi giorni sull’autonomia differenziata ed è onestamente fuori luogo che numerosi esponenti della sinistra abbiano affermato che “qualcuno vuole dividere l’Italia, separando il Nord dal Sud” Sia subito chiaro: non esiste Italia senza Sud, non esiste Italia senza Nord. L’Italia è unica e indivisibile, con le sue peculiarità territoriali, le sue bellezze, la sua cultura, i suoi punti di forza e di debolezza. Nessuno intende dividerla, al contrario ci sono forze politiche come la Lega-Salvini Premier che vogliono rafforzare il Paese, migliorandolo nella competitività interna ed esterna. E in quest’ottica si inquadra la scelta di approvare l’Autonomia Differenziata, provvedimento attuativo dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Peraltro, la legge persegue finalità più ampie, di attuazione complessiva del Titolo V della Costituzione, a riprova del fatto che l’articolo 116 della Costituzione, terzo comma, è, in realtà, il “motore” per il completamento di alcuni istituti costituzionali di primaria importanza. Non c’è alcuna volontà discriminatoria, alcun obiettivo recondito ma l’ambizione di far correre l’Italia, di rendere tutte le regioni competitive in un quadro sempre più globalizzato. L’equazione che l’Autonomia Differenziata sia un grave male per il Sud è assolutamente falsa, nasconde una chiara volontà politica di conservatorismo e assistenzialismo continuo senza alcuna strategia territoriale di un Mezzogiorno che, invece, nella competitività e nel coraggio di confrontarsi può ritrovare linfa vitale. La legge approvata non toglie nulla al Sud per darlo al Nord, permetterà alle Regioni che ne faranno richiesta di gestire in autonomia alcuni servizi. E nemmeno le paure sui Lep, i livelli essenziali delle prestazioni sono condivisibili, perché la norma attribuisce al Governo una delega legislativa, da esercitarsi entro di ventiquattro mesi, per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali nelle materie interessate dall’autonomia differenziata. In tal modo, si risponde alla critica per cui il regionalismo differenziato non sarebbe attuabile senza la determinazione dei Lep e si dà finalmente seguito alla previsione costituzionale dopo oltre ventidue anni di inattuazione. D’altra parte con la legge di bilancio 2023 il Governo aveva già avviato l’opera di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, con il supporto del Comitato tecnico-scientifico presieduto dal professor Cassese. In ogni caso gli esiti del lavoro già svolto sono fatti salvi dal disegno di legge. Sempre a proposito dei discussi Lep è stata accolta, al comma 2 dell’articolo 1, la definizione dalla Corte Costituzionale, che li ha indicati quale “(…)soglia costituzionalmente necessaria e costituiscono il nucleo invalicabile per rendere effettivi tali diritti su tutto il territorio nazionale e per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, per assicurare uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie territoriali e per favorire un'equa ed efficiente allocazione delle risorse e il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali”. Si tratta di un risultato costituzionalmente molto apprezzabile e che orienta l’interpretazione e l’applicazione dell’intera legge. A ulteriore garanzia delle istanze unitarie, in base alla legge, il trasferimento delle funzioni alle Regioni può avvenire nelle 14 materie riferibili ai Lep solo dopo la loro determinazione e dei relativi costi e fabbisogni standard, nulla può essere determinato prima. Ciò evita, pertanto, che possa avvenire il trasferimento di funzioni a detrimento dei Lep nelle altre Regioni non interessate dalle intese, cui devono essere garantiti i medesimi livelli essenziali. E nella Commissione paritetica che sarà costituita ad hoc - alla quale spetterà procedere annualmente alla valutazione degli oneri finanziari derivanti, per ciascuna Regione interessata, dall’esercizio delle funzioni e dall’erogazione dei servizi connessi in coerenza con gli obiettivi programmatici di finanza pubblica e, comunque, garantendo l’equilibrio di bilancio e all’annuale ricognizione dell’allineamento tra i fabbisogni di spesa già definiti e l’andamento del gettito dei tributi compartecipati per il finanziamento delle medesime funzioni indicando i necessari adeguamenti - oltre ai rappresentanti del Governo e delle Regioni siederanno anche l’Anci e l’Upi, a garanzia degli enti locali e territoriali. A ciò si aggiunga che nel testo approvato è contenuto un riordino delle misure di perequazione previste dall’articolo 119 della Costituzione, attraverso un riassetto del complesso delle misure già previste dalla legislazione vigente e con una specifica attenzione anche al tema degli svantaggi. Anche lo stesso procedimento di approvazione dell’intesa presenta rilevanti garanzie per la tutela degli interessi unitari e per il ruolo del Parlamento, con il coinvolgimento di Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministeri, Regioni, Enti Locali, Conferenza StatoRegioni; addirittura il Premier, a tutela di esigenze unitarie, può limitare l’oggetto del negoziato ad alcune materie o ambiti di materie individuati dalla Regione nell’atto di iniziativa. Dunque, si tratta di un procedimento garantista, trasparente e ispirato alla massima partecipazione di tutti gli attori istituzionali che non penalizza alcun territorio del Paese ma consente alle Regioni di poter competere per migliorare i servizi e la vivibilità dei cittadini residenti. L’intesa, che non può essere superiore ai dieci anni e può essere dichiarata cessata prima da Stato o Regione interessata, individua le modalità di finanziamento delle funzioni attribuite attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale, assicurando il finanziamento integrale delle funzioni medesime (per i Lep il finanziamento è assicurato ai fabbisogni standard). Con riguardo agli effetti finanziari della legge di attuazione sono assicurati l’invarianza finanziaria e il rispetto degli equilibri di bilancio. Sono garantiti: a) l’invarianza finanziaria anche per le singole Regioni che non siano parte di intese; b) il finanziamento delle iniziative di carattere perequativo, anche con riguardo al superamento degli svantaggi determinati dall’insularità; c) l’entità e la proporzionalità delle risorse da destinare a ciascuna delle Regioni che non siano parte di intese; d) la possibilità di prevedere anche per le Regioni che hanno sottoscritto le intese il concorso agli obiettivi di finanza pubblica. Insomma, si tratta di una legge di buon senso, che conduce l’Italia a pieno titolo nel XXI secolo. È un testo che garantisce tutti, con pesi e contrappesi, che non crea assolutamente squilibri e che permette alle regioni del Sud di competere con quelle più performanti del Nord. Il Mezzogiorno ha il sole, ha il mare, ha il vento, ha la cultura e i musei, ha la storia, ha un sistema agricolo fiorente, ha il buon cibo e anche un tessuto industriale adeguato e competitivo. Di chi dobbiamo avere paura? Nella normalità di nessuno perché il Sud è eccellente, ma purtroppo una classe dirigente meridionale troppo spesso incapace e inadeguata per stare al passo coi tempi ci rende vulnerabili. Vogliamo parlare di sanità? E della mobilità sanitaria extraregionale in favore delle regioni del Centro e del Nord? I meridionali spesso sono costretti a curarsi fuori non per una propria volontà, ne farebbero volentieri a meno anche per i costi di trasferta, ma perché le strutture il più delle volte non sono adeguate. E la colpa di chi è? Del Nord, dell’Autonomia Differenziata che ancora non c’è o di chi ha governato e governa le regioni del Mezzogiorno? Se un primario viene scelto per la tessera e non per la propria competenza è chiaro che quel reparto non funzionerà mai; se un dirigente di un ente è individuato perché amico di tizio o caio non potrà mai essere adeguato; se alla guida di una direzione generale di una regione arriva un tizio solo perché è stato compagno di classe del politico di turno cosa potrà mai fare di utile per la collettività. Sono questi i problemi, è su questo che dovremmo confrontarci; senza parlare poi della burocrazia, che spesso sfocia anche in corruzione, persistente nelle regioni meridionali. Gli imprenditori invece che occuparsi delle proprie aziende sono costretti a peregrinare quotidianamente per gli uffici, a cercare un ‘santo in paradiso’ pur di vedere esaudita la propria pratica che invece dovrebbe ottenere risposta senza alcuna intercessione. Il Sud può farcela con le proprie forze, ha necessità di una classe dirigente adeguata, di azzerare la burocrazia e di un’autonomia differenziata che consenta alle regioni meridionali di competere con il Nord e con l’Europa, facendo molta attenzione alla continua crescita dei paesi dell’Est e del NordAfrica.È una sfida che vogliamo e possiamo vincere!

*Responsabile nazionale Coesione Territoriale e Zes

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