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L'opinione
22 Giugno 2024 - 12:12
La ricreazione è finita. Terminato il sondaggione delle elezioni europee, sarà bene che tutti ripiantino i piedi per terra. Insomma, è ora di ricominciare a parlare di cose serie. Complici le distrazioni post voto, negli ultimi giorni si sono susseguiti una serie di dati che non sono stati valutati con l’attenzione che avrebbero meritato. La Banca d’Italia ha appena stimato il nostro Pil in aumento dello 0,6% nel 2024, rispetto all’1% che conta di centrare il Governo. Se a via Nazionale avessero ragione si aprirebbe un bel problema, visto che una crescita sovrastimata dello 0,4% implicherebbe il dover rifare i conti daccapo con alcuni miliardi in meno. Un secondo, importante numero cui guardare è quello dei prestiti a imprese e famiglie, che a maggio sono scesi del 2,3% rispetto a un anno prima, dopo che ad aprile i finanziamenti alle aziende erano diminuiti del 3,4% e quelli alle famiglie dell’1,2%. Si tratta di due dati intimamente connessi: è chiaro che il calo dei volumi di credito è conseguente al rallentamento della crescita economica. La terza questione riguarda la produzione industriale che continua a calare inesorabilmente. Un problema non solo italiano ma europeo, visto che il dato registrato ad aprile nell’eurozona è stato -3%, ampiamente peggiore delle previsioni più nere. L’Europa è di fatto in un processo di de-industrializzazione pericolosissimo e l’Italia non può non risentirne. Anzi. A dirla tutta la Germania è l’altro caso eclatante, colpita com’è dalle sanzioni Usa e Ue contro la Russia che altro non hanno come scopo che disgregare l’industria tedesca e i suoi organici legami con l’Italia e la Cina, che gli Stati Uniti intendono demolire. Ma c’è una quarta cifra completamente sottaciuta, e riguarda l’esplosione dei costi per i noleggi delle imbarcazioni commerciali a livello globale. La guerra che gli houthi continuano a combattere nel Mar Rosso - dove passa la gran parte dei traffici verso l’Europa e l’Italia - ha provocato un aumento dei prezzi del 181% del trasporto su base annua (dato di giugno). È chiaro che questo trend rischia d’incidere sull’inflazione. Se ciò accadesse, potremmo dire addio ai tagli dei tassi d’interesse da parte di una Bce già di per sé riluttante. Nel qual caso i rubinetti del credito continuerebbero a funzionare col contagocce. Il quinto elemento riguarda invece lo spread. Non quello cui siamo abituati a guardare da quando esplose la crisi dei debiti sovrani, ma quello dei prezzi dell’energia elettrica. In Europa c’è chi paga l’elettricità a 20 euro al megawattora come la Spagna, e chi a 60 o 100, come l’Italia: una situazione intollerabile che si traduce in una costante perdita di competitività delle nostre imprese. Se è vero che i mercati energetici sono il pilastro di qualsiasi sistema industriale avanzato, avere un’Europa così divisa taglia le gambe a qualunque discorso d’integrazione. Porre fine a questo caos energetico nel continente dev’essere in cima al programma del Governo italiano per la nuova legislatura europea. E qui veniamo alla partita delle nomine in corso a Bruxelles. È appena il caso di osservare che questa situazione di disordine favorisce solo Usa e Cina, pronti a fare shopping a prezzo di saldo. Ogni anno emigrano dall’Europa, principalmente verso gli Stati Uniti, 330 miliardi di risparmi, che vengono poi in gran parte utilizzati dai fondi americani per comprare le nostre imprese: c’è qualcuno che ha uno straccio d’idea su come fermare questa emorragia? Per non parlare della guerra dei sussidi pubblici all’industria: americani e cinesi ne offrono sempre di più. Una politica che viene perseguita anche in Europa, dove però è adottata dai singoli Stati, quindi dipende dalla loro capacità finanziaria. Dunque è frammentata, diseguale e inefficace. L’Europa non può ridursi a un continente di consumatori, è necessaria una forza industriale sostenuta da un mercato unico dei capitali. Il punto quindi non è chi guiderà la nave. Il punto è dove intende portarla.
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