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L'opinione
25 Giugno 2024 - 16:00
C’era una volta il lotto della tradizione. La gente che, il sabato pomeriggio, si accalcava nel cortile del palazzo di Santa Chiara almeno un’ora prima dell’estrazione, imprecando già all’imbussolamento dei novanta numeri. Era quasi una festa paesana, con il contorno di modesti carretti di noccioline. e semi di zucca abbrustoliti che allietavano quell’ attesa. Estratti cinque numeri, ecco gli astanti tirar fuori dalle tasche i biglietti delle giocate e discutere animatamente, litigando ma, soprattutto, prendendosela col destino, incapace di dare i numeri giusti, e, spesso, con se stessi, interpreti sbagliati di sogni che andavano valutati diversamente. Erano sempre pochissimi i vincitori, distinguibili per scene di euforia e di giubilo assolutamente sfrenate. E si riapriva, anche in quella occasione, l’ eterno confronto tra “cabalisti“ ed “assistiti“. I primi tradizionali seguaci della tipica Smorfia napoletana, quella recuperata dall’antico testo dell’astrologo Rutilio Benincasa. Ma, soprattutto, intenti a studiare costantemente le dinamiche delle estrazioni degli ultimi 50 anni per valutare le cadenze, la frequenza delle uscite e, conseguenzialmente, i calcoli aritmetici legati ad ambi, terne e quaterne. I cabalisti erano spesso reperibili in vecchi caffè un po' bisunti della città, mentre riempivano di numeri variegati fogli di tutti i tipi, riponendoli poi, con cura, nelle tasche, perché ogni calcolo si rivelava utile per altre analisi, per altri studi, per altri approfondimenti. Il loro successo era modesto. I napoletani non sembravano credere al calcolo delle probabilità. Più fortunati gli “assistiti”, guidati da oscure facoltà di veggenza, sempre pronti ad offrire metafore che la gente poteva e doveva interpretare per raccogliere la sua fortuna. Per loro i giocatori conservavano una fiducia cieca, lasciandosi suggestionare dalle loro parole, dai loro incantesimi con l’umiltà, dimessa e generosa di chi vuole credere in un futuro migliore. Tra le due correnti, all’epoca, si era intromessa una terza tendenza ispirata da una pubblicazione settimanale di un certo successo denominata “Il Gobbetto“. Coniato, per l’occasione uno slogan accattivante: “Pensarci prima per non pentirsi dopo“. Il foglio campeggiava fuori a tutte le tabaccherie napoletane, garantendo vincite sicure e i giocatori non tralasciavano i suoi suggerimenti. Dietro il lotto, come sempre, il culto dei morti. Nel Cimitero delle Fontanelle, tra tanti teschi anonimi, lumi, fiori e ghirlande attorniavano il cranio di Don Francisco, antico principe dei cabalisti, seguito da centinaia di devoti. Un fenomeno che, col tempo, si estese e costrinse la Polizia ad allontanare i fedeli da quel luogo. Ma la cabala partenopea è zeppa di personaggi, di storie, di leggende: Errico o’ trunaro, Barbettone ‘e San Marco, Rafele ‘o guaglione. Miti che, dopo un secolo, vivono ancora nei sogni dei napoletani con le loro saghe, i loro pretesti e le loro eresie.
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