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L'opinione
27 Giugno 2024 - 10:05
Il 25 maggio scorso è stato emesso da Poste Italiane un francobollo commemorativo dedicato a Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci, assassinati a Padova dalle Brigate Rosse, cinquant’anni fa, il 17 giugno del 1974. Alle giovani generazioni questi nomi risulteranno sicuramente sconosciuti, a qualcun altro, più avanti negli anni, diranno solo qualcosa di più. Per me è stato diverso. Perché li conoscevo. Furono uccisi a colpi di pistola nella sede del Movimento Sociale Italiano di via Zabarella e fu il primo omicidio delle BR. È stato un trauma esistenziale per molti di noi, un orrore che hainevitabilmente lasciato un segno nelle nostre vite. Eravamo giovani idealisti abituati al confronto delle idee, alla difesa di quei principi basilari di libertà in cui abbiamo sempre creduto e del nostro diritto di esistere e di manifestare il nostro pensiero. Ma erano anni bui, anni in cui la violenza nei confronti di un mondo, quel mondo dei giovani di “destra” al quale appartenevo per scelta e convinzione, era considerata una prassi, quasi un dovere politico cui adempiere con scrupolo, in nome di parole d’ordine improntate a una visione ideologica della lotta politica dal contenuto barbaro e cinico. Era una strategia che prendeva spunto dalle logiche di spartizione del mondo nelsecondo dopoguerra per rinfocolare i miti insurrezionali della guerra civile del biennio ’43 -’45 che allora covavano ancora sotto la cenere, sposandoli con l’ideologia comunista delle conventicole e dei salotti di quella buona borghesia “progressista” che contava e contava molto, sapevafare opinione e far sentire tutto il suo “peso” nei gangli vitali del sistema paese di allora. Anni difficilissimi e non certo “formidabili” come, invece, Mario Capanna ebbe a scrivereenfaticamente, anni dopo, in un suo libro di successo. Per quanti cercarono di opporsi con animo sincero a quello stato di cose, certi di combattere una battaglia per la buona causa della propria libertà e di quella di tutti, ci furono soltanto dolore, sofferenze, soprusi, violenza, persecuzioni e spesso anche morte. E tutt’intorno, la tela del ragno di quella “strategia della tensione” di cui tanto si è parlato e che ancora, a decenni di distanza, ha punti oscuri che necessitano di luce piena. Anni lontani, si dirà, ed è vero. Ma se è vero che gli assassini dell’anziano Mazzola e del giovane Giralucci hanno avuto, dopo tanto, troppo tempo, un nome e un cognome che hannoconsentito di ottenere una tardiva e parziale giustizia, resta la convinzione che non tutto è stato fatto, allora, da chi deteneva le leve del potere, per fermare subito quel vortice di odio e per sradicarlo in via definitiva. E oggi corriamo il rischio chequalcosa di quegli anni possaaddirittura riemergere, se qualcuno si ostina ancora a non accettare democraticamente la propria sconfitta politica, a negare l’esigenza di cambiamento manifestata, con il voto, dagli Italiani, ad alimentare conflittualità e tensioni che appartengono al passato. Il mio amico Mario Bortoluzzi, scrittore e cantautore che ha immortalato in bellissime canzoni la sofferenza di quella che è stata la nostra generazione, direbbe che ora si deve finalmente “vivere nella verità e lontano da ogni mistificazione”. Ha ragione: lo dobbiamo alle vittime come Mazzola e Giralucci, alla loro storia, a quanti hanno meritatouna Nazione diversa, capace, oggi, di tenere lo sguardo rivolto, con tenacia, verso il futuro.
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